TFR in busta paga: davvero si può riceverlo ogni mese?

Il TFR in busta paga è una pratica consentita o vietata? Ecco cosa prevede la normativa e i chiarimenti dell’Ispettorato.
2 settimane fa
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tassazione tfr
Foto © Investireoggi

Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) rappresenta una componente importante della retribuzione differita del lavoratore dipendente, accumulata nel corso del rapporto lavorativo e destinata a essere erogata alla cessazione del contratto. Tuttavia, l’ipotesi di riconoscere il TFR in busta paga su base mensile continua a generare dubbi tra imprese e lavoratori.

A fare chiarezza interviene l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, che con la nota n. 616 del 3 aprile 2025 fissa precisi vincoli a questa prassi.

Il divieto di erogazione mensile del TFR

Secondo l’interpretazione ufficiale fornita dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, non è ammesso versare mensilmente la quota di TFR maturata, nemmeno qualora vi sia un esplicito accordo tra le parti.

L’inserimento regolare del TFR in busta paga sarebbe, infatti, assimilabile a un incremento della retribuzione ordinaria, con tutte le implicazioni che ne derivano sia sul piano giuslavoristico che su quello fiscale e previdenziale.

Questa operazione comporterebbe la perdita della natura propria del TFR, compromettendone la funzione di tutela economica alla conclusione del rapporto di lavoro. La normativa vigente, infatti, riconosce al TFR il ruolo di garanzia post-occupazionale, concetto che mal si concilia con una liquidazione anticipata e continuativa su base mensile.

Le conseguenze fiscali e contributive

L’eventuale erogazione mensile del TFR trasformerebbe tale somma in parte integrante della retribuzione corrente. Questo comporterebbe:

  • Aumento dell’imponibile previdenziale, con obbligo di versamento di contributi INPS sulla quota versata mensilmente;
  • Modifiche nel calcolo dell’IRPEF, in quanto il TFR anticipato andrebbe a sommarsi al reddito ordinario, con possibile incremento della tassazione a carico del lavoratore;
  • Ripercussioni sul contratto di lavoro, poiché si altererebbero gli equilibri contrattuali e retributivi previsti dalla normativa e dai contratti collettivi.

In sostanza, la liquidazione mensile del TFR non solo infrange il dettato normativo, ma rischia di causare effetti distorsivi sull’intero assetto contributivo e fiscale.

L’unica eccezione: l’anticipazione del TFR maturato

La disciplina ammette una sola forma di liquidazione anticipata del TFR: l’anticipazione dell’importo già accantonato. In questo caso, l’erogazione non riguarda la quota maturata nel periodo corrente, bensì quella già contabilizzata nel fondo TFR del lavoratore.

L’anticipo può essere concesso solo in presenza di specifici requisiti previsti dalla legge, come:

  • esigenze sanitarie gravi e documentate;
  • acquisto della prima casa per sé o per i figli;
  • spese straordinarie connesse a eventi rilevanti della vita familiare.

In ogni caso, l’anticipo non può superare il 70% del totale accantonato, e può essere richiesto una sola volta nel corso del rapporto di lavoro, a condizione che il dipendente abbia maturato almeno otto anni di anzianità presso lo stesso datore di lavoro.

Perché il TFR non può diventare parte della retribuzione mensile

La logica alla base del divieto risiede nella finalità protettiva del TFR. Questo istituto nasce per garantire una forma di liquidazione al termine del contratto, offrendo al lavoratore una risorsa economica che possa agevolare il passaggio a una nuova occupazione o sostenere spese in un periodo di transizione.

L’inserimento del TFR in busta paga ogni mese comprometterebbe questa funzione, privando il lavoratore di una somma significativa nel momento in cui ne ha maggiormente bisogno. Inoltre, determinerebbe un aggravio del carico fiscale e contributivo sia per il lavoratore che per l’azienda, alterando la struttura originaria del trattamento.

Un chiarimento utile per imprese e lavoratori

La precisazione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro si rivela di fondamentale importanza in un contesto dove, per esigenze di liquidità o accordi informali, alcune realtà potrebbero essere tentate di riconoscere il TFR con cadenza mensile. Una tale scelta, sebbene a prima vista vantaggiosa, comporterebbe invece una serie di problematiche legali e fiscali.

Le imprese devono quindi attenersi rigorosamente alle regole vigenti, evitando di trasformare impropriamente il TFR in una voce di retribuzione ricorrente. Analogamente, i lavoratori devono essere consapevoli del fatto che accettare una simile modalità di erogazione potrebbe significare rinunciare a importanti tutele economiche future.

Divieto TFR mensile in busta paga: considerazioni conclusive

La questione del TFR in busta paga chiama in causa un delicato equilibrio tra esigenze di flessibilità e tutela dei diritti dei lavoratori. L’attuale normativa intende preservare il TFR come istituto autonomo, con una funzione ben definita nel contesto del rapporto di lavoro subordinato. Ogni deviazione da questo principio rischia di produrre conseguenze negative, sia in termini giuridici che economici.

Grazie all’intervento dell’Ispettorato del Lavoro, viene ribadito un principio fondamentale: il Trattamento di Fine Rapporto non può essere erogato mensilmente, nemmeno con il consenso del lavoratore. L’unica strada percorribile rimane quella dell’anticipazione regolamentata, nel rispetto delle condizioni previste dalla legge.

In definitiva, si conferma che la corretta gestione del TFR è non solo una questione di legalità, ma anche di equilibrio retributivo e protezione sociale. Una gestione imprudente o non conforme può tradursi in un danno economico per il lavoratore e in sanzioni per il datore di lavoro.

Riassumendo

  • Il TFR non può essere inserito mensilmente in busta paga.
  • L’erogazione mensile altererebbe natura giuridica e fiscale del TFR.
  • È ammessa solo l’anticipazione del TFR già maturato.
  • Anticipi possibili solo per specifiche esigenze e con limiti precisi.
  • L’inserimento mensile comporta effetti fiscali e contributivi negativi.
  • Il TFR serve come tutela economica alla fine del rapporto di lavoro.

 

Pasquale Pirone

Dottore Commercialista abilitato approda nel 2020 nella redazione di InvestireOggi.it, per la sezione Fisco. E’ giornalista iscritto all’ODG della Campania.
In qualità di redattore coltiva, grazie allo studio e al continuo aggiornamento, la sua passione per la materia fiscale e la scrittura facendone la sua principale attività lavorativa.
Dottore Commercialista abilitato e Consulente per privati e aziende in campo fiscale, ha curato per anni approfondimenti e articoli sulle tematiche fiscali per riviste specializzate del settore.

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