L’Italia si è impegnata con gli Stati Uniti per un aumento della spesa militare al 2% del Pil già da quest’anno. Poiché il dato era fermo all’1,5% nel 2024, ciò implica maggiori stanziamenti a favore della difesa per lo 0,5%. Una percentuale che corrisponde pressappoco a 10 miliardi di euro. Non è detto che bastino. Al vertice NATO a l’Aia, Olanda, in programma per fine giugno e al quale parteciperà anche il presidente americano Donald Trump, l’obiettivo potrebbe essere fissato per tutti gli alleati al 3-3,5%. Almeno temporaneamente, quindi, saremmo costretti a trovare ulteriori risorse per provvedere alla nostra sicurezza.
Giorgetti e Crosetto in disaccordo
C’è stata tensione in queste settimane tra il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e il collega alla Difesa, Guido Crosetto.
Il pomo della discordia riguarda proprio le risorse. Il primo ha sostenuto pubblicamente che non intende sottrarle a servizi come la sanità, mentre il secondo reclama un maggiore impegno per l’aumento della spesa militare.
E mercoledì è intervenuto sul tema il Fondo Monetario Internazionale, che ha paventato il rischio di un aumento del debito pubblico mondiale al 117% del Pil. Sarebbe il livello più alto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ha spiegato. Per l’istituto di Washington, l’aumento della spesa militare, se vorrà essere credibile e senza ricadute sui bilanci, dovrà avvenire attraverso un mix di aumenti delle entrate e tagli alla spesa pubblica. In altre parole, l’ente guidato dalla bulgara Kristalina Georgieva smentisce l’approccio dell’Unione Europea, che nei mesi scorsi ha presentato un piano per tendere al riarmo europeo a debito.
Nodo credibilità europea
La stessa Germania punta all’aumento della spesa militare con 500 miliardi di euro in deficit entro 10 anni. A differenza di gran parte degli altri stati comunitari, però, il governo tedesco dispone di ampi margini di bilancio. Con un debito pubblico al 63% del Pil, può permettersi teoricamente di investire risorse in deficit. Per questo ha modificato persino la Costituzione sulla cosiddetta norma relativa al “freno al debito”. Il punto lamentato dall’FMI, tuttavia, sembra riguardare la credibilità di una siffatta politica. Poiché la difesa è una voce “strutturale” dei bilanci nazionali, si può immaginare di finanziarla perlopiù in costante disavanzo?
Il dubbio è serpeggiato in questi mesi anche a Bruxelles. Quale segnale invieremmo al resto del mondo, se dicessimo che l’aumento della spesa militare avverrà in deficit? Il rischio sarebbe di una percezione precaria, come se il riarmo europeo avvenisse solo temporaneamente. Invece, si tratta di un passaggio di portata storica. Gli Stati Uniti si ritrarranno dal Vecchio Continente per responsabilizzarne gli stessi stati alleati. Ciò implica che servirà trovare risorse stabili, come avviene da sempre per servizi come scuola, sanità, pensioni, assistenza, ecc.
Sempre l’FMI ha sostenuto la necessità per l’Italia e altri stati come Spagna e USA di allargare la base imponibile per aumentare le entrate fiscali. Nel nostro caso, ha suggerito di eliminare la “flat tax” per i lavoratori autonomi.
In questo modo, verrebbe meno un’eccezione all’imposizione fiscale. Capitolo politicamente molto sensibile, dato che il centro-destra (la Lega, in particolare) da anni punta su questo trattamento differenziato per le partite IVA.
Su aumento spesa militare Italia prudente
Tornando all’aumento della spesa militare, l’FMI ha messo nero su bianco l’ovvio. Che l’obiettivo sarà fissato al 2-3 o 4%, poco importa. Serviranno tagli ad altre voci di spesa e/o aumenti delle entrate per finanziarlo. Paesi come Italia e Francia non possono pensare di ricorrere al deficit neanche per il breve periodo, a causa dell’elevato debito pubblico iniziale. I mercati stanno riponendo fiducia nel governo Meloni anche per la prudenza mostrata riguardo a questo tema. Roma non sembra intenzionata di sfruttare i prestiti comunitari messi a disposizione per il riarmo fino a 150 miliardi. Se da un lato ci indebiteremmo a tassi vantaggiosi rispetto al mercato, dall’altro si tratterebbe pur sempre di debiti. E prima o poi gli investitori ci presenterebbero il conto.
giuseppe.timpone@investireoggi.it