Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, incontrerà il capo di gabinetto di Palazzo Chigi per scrutare l’umore del governo a proposito dell’Offerta Pubblica di Scambio lanciata nei giorni scorsi sul 100% delle azioni Banca Generali. E’ solamente l’ultimo episodio di un risiko sempre più avvincente per le cronache finanziarie e che vede da mesi le banche italiane al centro di giochi incrociati. Monte Paschi vuole comprarsi Mediobanca per arrivare a Generali, mentre Unicredit vuole prendersi Banco BPM contro lo scenario ipotizzato dal governo Meloni. E Mediobanca vuole sottrarsi alla scalata senese, sottraendole da sotto il naso il gioiello più prezioso, cioè la quota in Generali, ripiegando per la banca da questa controllata.
Governo regista occulto in MPS
In tutta questa vicenda, abbiamo due famiglie del capitalismo – Francesco Gaetano Caltagirone e Del Vecchio – presenti nell’azionariato di Monte Paschi, Mediobanca e Generali. Di fatto, risultano nelle varie operazioni scalatrici e scalate allo stesso tempo. Il governo è il regista occulto dell’OPS su Piazzetta Cuccia, desideroso di impedire che i risparmi degli italiani finiscano in mani straniere. Infatti, il Leone di Trieste a gennaio siglava un’intesa con la francese Natixis per creare una joint venture per la gestione del risparmio. Vi apporterà 650 miliardi di euro, denari in gran parte domestici e che potrebbero finire (questo è il timore di Palazzo Chigi) per finanziare imprese e famiglie all’estero.
Prestiti all’economia in calo
Le banche sono un asset strategico per definizione e per questo lo stato possiede lo strumento del “golden power“. Senza, non ci sarebbe il motore che fa girare l’economia di una nazione. Gli investimenti e i consumi di beni durevoli si reggono sulle erogazioni di denaro. Quando gli istituti chiudono i cordoni della borsa, l’economia s’inceppa e può andare anche in recessione. L’Italia abbonda di risparmi ed è naturale che anche all’estero le nostre banche facciano gola, traboccando di liquidità.
Ma siamo sicuri che esse stiano facendo il lavoro per cui storicamente sono nate?
A marzo di quest’anno i depositi degli italiani ammontavano a 1.775 miliardi e nello stesso mese i prestiti all’economia privata erano di 1.414 miliardi. Un gap di oltre 360 miliardi. Cinque anni prima, i depositi ammontavano a 1.516,3 miliardi e i prestiti a 1.436,5 miliardi. Il gap era di appena 80 miliardi. Il rapporto tra le due misure è precipitato dal 95% a meno dell’80%. In pratica, prima del Covid le banche italiane prestavano quasi tanto denaro quanto ne possedevano grazie ai depositi dei clienti. Oggi, ne prestano per il 20% in meno rispetto a quanto ne posseggono. Ma i loro titoli volano in borsa, maturano utili record e staccano dividendi d’oro agli azionisti.
Banche strategiche a senso unico
E allora diciamoci come stanno davvero le cose. Il tifo per questa o quella operazione non ci deve far perdere di vista il fatto che ci troviamo dinnanzi a un sistema inceppato, dove gli interessi dell’economia semplicemente non sono presi in considerazione.
Il mestiere del banchiere, d’altronde, consiste nel far fruttare il denaro e non nel fare il bene della macroeconomia. Stando così le cose, persino il concetto di strategicità dell’asset tende a venire meno. Ne emerge un quadro sconsolante. Le banche sono strategiche solo quando si tratta di salvarne le voragini dei bilanci con soldi pubblici, mentre quando si attende che facciano la loro parte, diventano improvvisamente soggetti avulsi da ogni ragionamento macro.