C’è stato un prima e un dopo per i mercati finanziari quest’anno. La data che funge da spartiacque è il 2 aprile scorso, quando il presidente americano Donald Trump annunciò i dazi sulle importazioni dal resto del mondo. Borse mondiali al tracollo, oro ai nuovi massimi storici e mercato obbligazionario in subbuglio. I Treasuries, anziché apprezzarsi per la minore propensione al rischio degli investitori e la ricerca di “safe asset”, ripiegavano. I rendimenti americani schizzavano pericolosamente fino a più del 4,50% per la scadenza decennale. Un comportamento anomalo, che per molti ha segnalato la messa in discussione del dollaro come valuta di riserva mondiale.
In effetti, vittima del caos dazi è stato proprio il biglietto verde, arrivato a perdere oltre il 10% contro le valute mondiali principali dai massimi di gennaio.7
USA tra rischio inflazione e recessione
Nelle ultime settimane, però, il quadro è andato schiarendosi. Le trattative con Cina ed Europa non sono state ancora avviate, ma l’intenzione delle parti c’è tutta. I dazi al 20% sulle merci europee sono stati sospesi per 90 giorni e ridotti al 10%, così auto e alcune componenti elettroniche sono state parzialmente esentate dalla stangata. Il ritorno alla normalità non c’è e probabilmente non ci sarà neanche nei prossimi mesi. Per il momento il mercato obbligazionario americano rimane sospeso tra rischio inflazione e rischio recessione. Il Pil USA nel primo trimestre è sceso dello 0,3%, ma solo per effetto delle aumentate importazioni. Le imprese hanno accumulato scorte prima che Trump aumentasse i dazi.
Ieri, i dati sul lavoro non agricolo ad aprile hanno svelato la creazione di altri 177.000 posizioni, molto più delle 130.000 stimate dagli analisti.
E nel frattempo il governo americano ha ridotto di 9.000 i posti di lavoro federali con il lavoro svolto dal DOGE capeggiato da Elon Musk. Insomma, l’economia americana tira e l’ipotesi che la Federal Reserve possa tornare a tagliare presto i tassi di interesse si affievolisce. Ed ecco che dopo la pubblicazione dei dati, il Treasury a 10 anni sfiorava il 4,10% di rendimento. All’indomani dell’annuncio dei dazi era sprofondato sotto il 4% per poi risalire drasticamente, forse a seguito di vendite ah hoc in Cina.
Sale premio per Treasury
Quanto al Bund decennale, sempre ieri offriva poco meno del 4,50%. Lo spread Treasury-Bund si attestava, quindi, esattamente a 180 punti base o 1,80%. Questo significa che il mercato obbligazionario è disposto a comprare bond USA a lungo termine solo se offrono l’1,80% in più dei bond tedeschi. Prima dei dazi il premio era inferiore ai 150 punti o 1,50%. Dunque, l’effetto dazi si è tradotto in un aumento di tale premio dello 0,30%. Gli investitori chiedono un rendimento relativamente più alto per comprare Treasuries. Perché? Ebbene, nel frattempo il cambio euro-dollaro è passato da 1,08 a sopra 1,13, ma con punte di 1,15 nelle settimane passate.
Mercato obbligazionario sconta dollaro debole
Evidentemente, il mercato obbligazionario sconta una maggiore debolezza del dollaro nei confronti dell’euro anche dopo il recente deprezzamento. Eppure, almeno guardando al breve termine, la Federal Reserve dovrebbe tenere i tassi invariati e la Banca Centrale Europea dovrebbe continuare a tagliarli. Quanto all’altro spread, quello tra titoli tedeschi e italiani per la scadenza decennale, dopo essere esploso fin sopra 130 punti, è tornato ai livelli pre-dazi dei 110 punti.
Cosa significa? Gli investitori non stanno temendo l’aumento del rischio sovrano nell’Eurozona all’infuori della Germania. Valutano negativamente l’impatto dei dazi sull’economia esportatrice europea, tant’è che ne tagliano le stime di crescita. Ma la disinflazione attesa nell’area, anche per effetto dei dazi stessi, placa gli animi e lascia intravedere rendimenti in calo con ripercussioni positive sui conti pubblici nazionali.