I dazi americani costringeranno presto la Cina a tagliare i tassi di interesse ad un ritmo ben più veloce di questi anni. A marzo, l’indice dei prezzi alla produzione si è contratto per il 29-esimo mese consecutivo, segnando un -2,5% su base annua. Nel frattempo, l’inflazione ha registrato il secondo dato negativo consecutivo con un -0,1%. Nell’intero 2024, i prezzi alla produzione sono scesi dell’1,6% e quelli al consumo sono saliti di appena lo 0,2%.
Yuan in calo, rischio deflazione
L’andamento dei primi impatta sui secondi. Per questo gli analisti ora temono che la seconda economia mondiale possa scivolare nella deflazione. La banca centrale in Cina ha tagliato sinora i tassi al 3,10% (Loan Prime Rate) dal 3,85% a cui erano saliti fino al 2021. In termini reali, attualmente il costo del denaro resta in territorio estremamente positivo e più che nelle altre principali economie. In teoria, il cambio si sarebbe dovuto apprezzare. Invece, dalla fine di settembre lo yuan perde il 3,6% contro il dollaro. La Banca Popolare Cinese ha di recente alzato il “fixing” attorno al quale il cambio si può muovere nelle contrattazioni quotidiane in quello che sembra un atto deliberato di svalutazione del cambio per reagire ai dazi dell’amministrazione Trump.
In questa fase di attesa per l’avvio delle trattative tra Washington e Pechino, ogni minimo segnale inviato da una delle due parti rischia di essere mal interpretato. La Cina potrebbe vedersi costretta ad accelerare il taglio dei tassi per non finire in deflazione. Gli Stati Uniti potrebbero prenderla come una mossa da “guerra valutaria”, l’altra faccia della guerra commerciale.
Ciò allontanerebbe il raggiungimento di un accordo tra le due parti, creando ulteriore tensione sui mercati finanziari.
Maggiore pressione sul mercato interno
Ma proprio i dazi al 145% rischiano di accentuare il rischio di deflazione cinese. Parte dei 440 miliardi di dollari di merci esportate negli States nel 2024 sarà dirottata sul mercato interno per via della chiusura del mercato americano. La maggiore offerta porterà al calo dei prezzi, già da anni sotto pressione. A quel punto, la Cina non potrà che reagire tagliando i tassi. Solo così potrà stimolare i consumi interni, cercando di ripristinare la stabilità dei prezzi. Questo indebolirebbe il cambio, mandando su tutte le furie la Casa Bianca, secondo cui già oggi lo yuan sarebbe sottovalutato rispetto al dollaro.
La guerra dei dazi sta costringendo la Cina a guardarsi allo specchio. Da molto tempo l’economia asiatica si regge esclusivamente sulle esportazioni, ignorando la debolezza della domanda interna. I consumi delle famiglie non arrivano al 40% del Pil, mentre nelle economie avanzate come Europa e USA si attestano tra il 55% e il 70%. In cambio, gli investimenti assumono un peso doppio, valendo circa il 45% del Pil. E ciò genera una costante crisi di sovrapproduzione, dato che gli investimenti oggi sostengono la domanda e domani si traducono in maggiore offerta. Gli eccessi di quest’ultima vengono scaricati sui mercati stranieri tramite le esportazioni, non senza praticare spesso politiche di dumping commerciale.
Tassi in Cina dilemma per banca centrale
Se la Cina fino ad oggi ha tagliato i tassi di poco, è perché sa che ciò può acuire paradossalmente i suoi problemi attraverso un aumento del credito alle imprese, che a sua volta rischia di potenziare i già alti investimenti. Ma con lo spettro della deflazione a bussare alla porta, le remore prima o poi svaniranno. Non resterà che trovare le parole giuste per convincere l’amministrazione americana che sia una mossa obbligata per non fare tracollare la seconda economia mondiale. Il rischio di incomprensioni è altissimo.