Nel nuovo scenario globale, i dazi doganali tornano a essere protagonisti, ma non in senso positivo. Il recente report del Fondo Monetario Internazionale lancia un chiaro allarme: la crescita economica mondiale sta rallentando, e tra i principali responsabili ci sono le tensioni commerciali e le barriere tariffarie. Questa tendenza colpisce in modo trasversale sia le economie avanzate che quelle emergenti, con effetti più evidenti in paesi fortemente interconnessi al commercio internazionale, come l’Italia. L’aumento delle tariffe, insieme all’instabilità geopolitica, ha innescato una catena di conseguenze che si riflettono su esportazioni, investimenti e fiducia nei mercati.
Secondo l’FMI, la nuova ondata di protezionismo sta provocando un effetto domino: le imprese riducono gli investimenti, i consumi rallentano e le prospettive di crescita si indeboliscono.
Gli Stati Uniti, che hanno rilanciato i dazi come strumento di politica economica, sembrano pagare un prezzo elevato. Ma non sono gli unici. Anche l’Europa si trova in una situazione delicata, con una crescita inferiore all’1%, mentre l’Italia mostra segnali di debolezza accentuati.
Le stime riviste al ribasso: l’allarme dell’FMI sui dazi
Il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto significativamente le previsioni economiche globali per il biennio 2025-2026. A livello mondiale, il rallentamento è più marcato proprio dove l’economia si era mostrata più resiliente negli anni precedenti. Negli Stati Uniti, la crescita attesa scende all’1,8% nel 2025, nove decimi in meno rispetto alle precedenti stime. Anche il Canada rivede al ribasso le sue aspettative, con un incremento previsto dell’1,3%. In Cina, la crescita si ferma al 4%, confermando un trend discendente dopo anni di performance sostenute.
Per l’Eurozona, il rallentamento si attesta intorno allo 0,8%, con l’Italia tra i paesi più colpiti. L’export rallenta e le imprese riducono la produzione, penalizzate dai maggiori costi dovuti ai dazi e dalla ridotta domanda estera. Il quadro tratteggiato dall’FMI è chiaro: senza un’inversione di rotta, il protezionismo rischia di trascinare l’economia mondiale verso una stagnazione prolungata.
Dazi e crescita economica: i rischi per l’Italia
Per l’Italia, già alle prese con una crescita strutturalmente debole, l’impatto dei dazi si fa sentire in maniera ancora più pesante. Il Centro Studi Confindustria stima una perdita di tre decimi di punto sul PIL tra il 2025 e il 2026. La crescita, che secondo le stime dovrebbe attestarsi allo 0,6% nel 2025 e all’1% nel 2026, si colloca sotto la media europea e ben lontana dai ritmi necessari per sostenere investimenti e occupazione.
Tra le cause principali c’è la debolezza dell’export, soprattutto nei comparti industriali che più risentono delle tariffe, come l’automotive, la meccanica e l’agroalimentare. Anche gli investimenti in beni strumentali rallentano, frenati dall’incertezza. Il risultato è un sistema economico che fatica a reagire, con le imprese costrette a ridimensionare piani di espansione e strategie di mercato.
Le contromisure: politiche fiscali e revisione delle regole europee
Di fronte a questo scenario, il governo italiano ha avanzato proposte mirate a contenere i danni.
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha suggerito la sospensione del Patto di Stabilità europeo per consentire un maggiore margine di intervento agli Stati membri. L’obiettivo è evitare che le restrizioni di bilancio impediscano di sostenere le imprese colpite dai dazi con aiuti pubblici.
Anche la Banca Centrale Europea è intervenuta, con la presidente Christine Lagarde che ha stimato un impatto diretto dei dazi pari a -0,3 punti percentuali sul PIL dell’Eurozona nel primo anno. A questo si aggiunge un potenziale effetto inflattivo, causato dall’aumento dei prezzi delle merci importate. Le banche centrali si trovano così davanti a un dilemma: da un lato devono contenere l’inflazione, dall’altro non possono ignorare il rallentamento della crescita.
Il ritorno dei dazi come strumento di pressione economica sta mettendo alla prova l’equilibrio globale. L’illusione di una protezione dell’economia interna attraverso l’innalzamento delle barriere si scontra con la realtà di mercati sempre più interconnessi. Per paesi come l’Italia, fortemente dipendenti dalle esportazioni, la sfida è doppia: fronteggiare l’impatto immediato delle tariffe e ripensare il modello di sviluppo in un contesto meno stabile. Solo attraverso una maggiore cooperazione internazionale e politiche economiche condivise sarà possibile affrontare con efficacia una crisi che, da commerciale, rischia di diventare strutturale. L’alternativa è un futuro fatto di crescita a singhiozzo, instabilità e nuove tensioni tra economie che, anziché collaborare, si isolano.
In sintesi.
- Il FMI avverte che i dazi stanno rallentando la crescita globale, colpendo duramente anche l’Italia.
- Il PIL italiano potrebbe crescere solo dello 0,6% nel 2025 e dell’1% nel 2026, con esportazioni e investimenti in calo.
- Il governo propone la sospensione del Patto di Stabilità UE per aiutare le imprese, mentre la BCE stima un impatto negativo di 0,3 punti sul PIL dell’Eurozona.