Mancano pochi giorni all’addio al 2015, un anno segnato da molteplici novità sul fronte dell’economia mondiale e che per l’Italia rappresenta il ritorno alla crescita per la prima volta dal 2011. Tante le sorprese, ma vediamo quali eventi specifici hanno influito maggiormente sul piano economico. Di seguito la lista delle 10 date, che hanno lasciato il segno: 1) 15 gennaio: la Schweizerische National-Bank (SNB), la banca centrale svizzera, annuncia a sorpresa l’abbandono della difesa del cambio minimo di 1,20 tra euro e franco svizzero, che l’istituto aveva introdotto unilateralmente nel settembre del 2011, in piena crisi della moneta unica.
L’inverno è nel segno dell’Eurozona
2) 22 gennaio: dopo mesi di indiscrezioni, la BCE annuncia il varo di potenti stimoli monetari, ossia del “quantitative easing”, pari a 60 miliardi di euro di valore di acquisti di bond governativi, titoli Abs e “covered bond”, a partire dal mese di marzo e fino ad almeno il settembre del 2016. L’intenzione dell’istituto è di stimolare l’inflazione dell’Eurozona, che all’inizio dell’anno era negativa dello 0,6%. L’obiettivo di contrastare la deflazione sembra essere raggiunto in pochi mesi, ma a tutt’ora la crescita tendenziale dei prezzi nell’area oscilla intorno allo zero, tanto che il QE è stato potenziato il 3 dicembre scorso, quando il governatore Mario Draghi ha annunciato sia una proroga di 6 mesi della durata del piano, sia il reinvestimento alla scadenza dei titolo acquistati, oltre al taglio ulteriore dei tassi overnight al -0,3%.
L’estate nera della Grecia
5) 30 giugno: tiene banco la Grecia. Le tensioni con i creditori pubblici (UE, BCE e FMI) sono fortissime. Alla fine di giugno, la Grecia vede spirare il secondo piano di assistenza finanziaria, senza averne sottoscritto un terzo e mostrandosi indisponibile ad accettare le condizioni richieste dagli altri membri dell’Eurozona per un nuovo salvataggio.
La Grexit sempre più probabile
6) 5 luglio: è ancora la Grecia a concentrare l’attenzione dei media mondiali. Quando arriva la sera, per l’Eurozona la sorpresa è amarissima: il 60% degli elettori si è espresso contro il piano offerto dai creditori, smentendo non solo i sondaggi, che indicavano un testa a testa, nonché le stesse convinzioni del premier, il quale avrebbe preferito una vittoria dei “sì”, così da essere costretto a firmare, ma senza essersi assunto una responsabilità personale. Poche ore dopo, si dimette il chiacchieratissimo ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, che buona parte dell’opinione pubblica in patria e i governi europei considerano l’artefice del disastro in cui è andata a sbattere la Grecia, il cui destino sembra ormai fuori dall’euro. 7) 13 luglio: dopo 17 ore di trattative estenuanti e quando alle luci dell’alba sembrava che la Grecia stesse davvero per tornare alla dracma, Tsipras alza bandiera bianca e accetta di firmare un terzo bailout da 86 miliardi di euro, le cui condizioni sono considerate peggiori di quelle che appena una settimana prima erano state respinte con il voto popolare.
Lo scossone dalla Cina e la svolta USA
8) 11 agosto: la People’s Bank of China (PBoC) svaluta lo yuan del 2%, la misura più drastica a Pechino dal 1994. Il mondo guarda con apprensione, perché se da un lato l’intervento è finalizzato a ricondurre la valuta ai suoi fondamentali, in modo da poterla inserire tra le riserve dell’FMI, dall’altro si teme che ciò sia anche frutto del vistoso rallentamento dell’economia cinese e che possa scatenare una “guerra valutaria” devastante nel pianeta. La PBoC svaluta lo yuan anche nelle 2 successive sedute per un complessivo 4,4%. 9) 24 agosto: crollano le borse mondiali. In scia al -8,5% accusato dalla Borsa di Shanghai, anche le altre piazze finanziarie del pianeta cadono. In Europa, i crolli sono compresi tra il 4% e il 5%, mentre il prezzo del petrolio scende ai minimi dal 2009. L’evento è generato dallo scoppio della bolla finanziaria cinese: in meno di 2 mesi e mezzo, Shanghai ha bruciato il 40% e 4 mila miliardi di capitalizzazione. 10) 16 dicembre: dopo mesi di attesa, la Federal Reserve annuncia uno storico aumento dei tassi USA dello 0,25% al range di 0,25-0,50%. Si tratta della prima stretta monetaria dal 29 giugno del 2006, che pone fine all’era dei tassi zero, iniziata 7 anni prima, anche se l’istituto conferma di restare accomodante anche per il prossimo futuro. La mossa era stata anticipata dai mercati, i quali hanno reagito piuttosto bene.