Ha origini italiane e poche settimane fa ha conquistato il secondo mandato di premier, cosa che non accadeva dal 2004. Il laburista Anthony Albanese è a capo del governo in Australia e in questi giorni sta cercando di fare passare una legge, che se approvata sconvolgerebbe il sistema fiscale nazionale. A partire dall’1 luglio prossimo, gli australiani pagherebbero le tasse anche sui guadagni non realizzati, vale a dire “virtuali”. Verrebbero esclusi dal calcolo dell’imposta i primi 3 milioni di dollari locali (circa 1,7 milioni di euro). Sembrano una soglia elevata, ma non lo è affatto. La mancata indicizzazione contribuisce negli anni a renderla sempre più bassa in termini reali, coinvolgendo un numero crescente di contribuenti.
Riforma fiscale australiana
Cosa prevede questa tassa sui guadagni virtuali? Il valore di tutti gli asset fisici e finanziari di un individuo sarà determinato ad inizio e fine anno. Eventuali incrementi saranno sottoposti all’aliquota del 30%. Una mostruosità fiscale, dato che i contribuenti verranno chiamati a pagare per guadagni solamente teorici, mai incassati e che probabilmente non si realizzeranno mai.
Il principio alla base di un sistema fiscale è semplice: possiedi un asset, lo vendi, ottieni un guadagno e su di esso paghi l’eventuale imposta. Ad esempio, se posseggo un bene immobile acquistato per 300.000 euro e lo rivendo per 500.000 euro, lo stato potrebbe chiamarmi a pagare un’imposta sulla differenza (il guadagno per l’appunto) di 200.000 euro. Lo stesso accade per gli asset di natura finanziaria, come azioni, obbligazioni, criptovalute, quote in fondi, ETF, ecc.
Conseguenze negative per l’economia
In Australia, tra poche settimane succederà qualcosa di incredibile: i cittadini verranno chiamati a pagare le tasse sui guadagni solo virtuali.
E ciò creerà diverse conseguenze negative per i mercati e l’economia in generale. In primis, saranno prevedibili numerose contestazioni tra contribuenti e amministrazione finanziaria. In effetti, come saranno determinati i valori per gli asset illiquidi e non negoziati sui mercati regolamentati? Ad esempio, difficile stabilire il valore di mercato di un immobile o di una quota in un’impresa non quotata in borsa.
Anche superando questa problematica, un’altra ancora più temibile incombe come minaccia: i problemi di liquidità. Supponiamo di possedere azioni acquistate per 200.000 euro e che queste siano salite al valore di borsa di 1 milione di euro alla fine dell’anno solare. Sui guadagni virtuali di 800.000 euro dovrei pagare le tasse allo stato. Se non posseggo quel denaro, come potrò adempiere all’obbligo? Disinvestendo. Nel nostro esempio, rivenderei parte del pacchetto solamente per pagare le tasse. In questo modo, perderei l’opportunità di realizzare ulteriori guadagni in futuro e ciclicamente il mercato ne risulterebbe destabilizzato, a causa del balzo dell’offerta.
Tasse sui guadagni virtuali patrimoniale nascosta
Ripetiamo: il problema non riguarderebbe solamente il mercato finanziario, dato che la legge sulle tasse sui guadagni virtuali riguarda tutti gli asset. E l’aliquota sarà raddoppiata dall’attuale 15% al 30%. Addirittura, risulterà triplicata dal 10% ad oggi applicato sui titoli detenuti per oltre 12 mesi.
Una super stangata. L’aspetto più devastante ha a che fare, però, con il presupposto fiscale. Sorgerà indipendentemente dalla realizzazione dei guadagni. Il solo possesso determinerà l’obbligo per i contribuenti più facoltosi. Un’aberrazione giuridica, che rischia di fare scuola. Anche se si spera che gli altri governi valuteranno gli effetti nefasti di questa nuova impostazione e si convinceranno definitivamente che percorrere tale strada sarebbe un suicidio economico.
La candidata democratica alla Casa Bianca dell’anno scorso, l’ex vicepresidente Kamala Harris, proponeva nel suo programma tra l’altro anche di imporre tasse sui guadagni virtuali in borsa. Wall Street l’ha scampata bella. Immaginate quanti lavoratori sarebbero stati costretti a liquidare parte degli asset detenuti dai fondi pensione per procedere al “sell to cover”. Una patrimoniale sotto mentite spoglie.
Gentile redazione di InvestireOggi,
Desidero segnalare alcune inesattezze riguardo le tasse sui guadagni virtuali in Australia:
L’articolo sostiene erroneamente che a partire dal 1° luglio tutti gli australiani (me compreso) saranno soggetti a tassazione sui “guadagni virtuali” relativi a qualsiasi asset, fisico o finanziario, con un’aliquota del 30%. Questo è fuorviante e non riflette accuratamente la proposta di legge attualmente in discussione e sottolineo solamente in discussione nel Parlamento australiano.
I fatti:
La misura non riguarda tutti i contribuenti, ma esclusivamente i superfunds (fondi pensione ) autogestiti (chiamati SMSF) con patrimoni superiori a 3 milioni di dollari australiani. (Posseduti da circa il 80.000 persone in tutta Australia)
Non si applica a persone fisiche comuni, né ai beni immobili, né alle imprese individuali o familiari. Viene applicata solo all’interno degli asset di questi fondi pensione ad alto valore.
L’eventuale tassazione sui guadagni non realizzati è stata proposta solo per l’eccedenza oltre i 3 milioni di dollari, e non si applica alla totalità del patrimonio del fondo pensione.
L’obiettivo della misura è limitare i vantaggi fiscali sproporzionati di cui beneficiano alcune delle persone più ricche del paese attraverso strutture superannuation non soggette ad adeguata tassazione.
Infine, l’aliquota del 30% menzionata nell’articolo si riferisce all’imposta effettiva applicata sull’incremento non realizzato della quota eccedente i 3 milioni AUD nel contesto dei superfunds, non a tutto il patrimonio.
È importante che i lettori italiani ricevano informazioni corrette, in particolare su temi così delicati. La diffusione di notizie imprecise rischia di generare allarmismi ingiustificati.
Resto a disposizione per ulteriori chiarimenti e sarei lieto se poteste correggere l’articolo o pubblicare una rettifica per informare correttamente i vostri lettori.
Cordiali saluti,
Edoardo Lissoni