Se anche la segretaria della CISL, Daniela Fumarola, ha dichiarato pubblicamente che i referendum sul lavoro non siano probabilmente lo strumento più idoneo per intervenire sulla materia, l’interrogativo appare più che legittimo. L’8 e 9 giugno gli italiani saranno chiamati a votare su cinque quesiti, di cui quattro riguardano la legislazione del lavoro e uno i requisiti per ottenere la cittadinanza italiana. Se vincesse il “sì” in tutti i casi, cosa molto probabile nel caso in cui venisse raggiunto il quorum, ci sarebbero novità dirompenti.
Referendum sul lavoro in pillole
Per gli stranieri basterebbero 5 anni di residenza sul territorio nazionale per diventare italiani a tutti gli effetti, anziché i 10 anni di oggi.
E le imprese italiane dovrebbero giustificare le assunzioni a tempo determinato sotto i 12 mesi e reintegrare i lavoratori licenziati senza giusta causa se sopra i 15 dipendenti. Quelle sotto i 16 dipendenti dovrebbero altresì pagare un indennizzo determinato dal giudice e senza più il limite delle 6 mensilità di oggi. Infine, scatterebbe la responsabilità in solido tra ditta appaltante e subappaltanti in tema di sicurezza sul luogo del lavoro.
Il senso dei quesiti
I referendum in Italia possono essere solo abrogativi, ad eccezione di quelli che riguardano la Costituzione. In pratica, devono essere presentati in modo da abrogare eventualmente una legge vigente, non di proporne una nuova. Vero è, però, che la cancellazione di una o più leggi comporta automaticamente un mutamento normativo. Ed ecco come apparirebbero i quesiti sul lavoro, se i referendum fossero intesi in senso proposito e non strettamente abrogativo:
- Vuoi tu impedire che l’impresa sopra i 15 dipendenti possa licenziare senza giusta causa o giustificato motivo?
- Vuoi tu eliminare il tetto agli indennizzi per i lavoratori licenziati senza giusta causa nelle imprese fino a 15 dipendenti?
- Vuoi tu impedire che le imprese abusino dei contratti di lavoro a tempo determinato?
- Vuoi tu che le imprese potenzino la sicurezza sul luogo di lavoro in favore dei dipendenti?
- Vuoi tu consentire che i cittadini stranieri possano richiedere la cittadinanza italiana dopo 5 anni di residenza in Italia?
Limitandoci ai referendum sul lavoro, chi sarebbe capace di rispondere di opporsi? A meno di non essere parte interessata, tutti vorremmo che i lavoratori venissero tutelati, che non fossero mai licenziati ingiustamente, che le imprese non abusassero dei contratti a termine e che garantissero la massima sicurezza possibile.
Ed ecco che il cittadino comune, trovandosi dinnanzi a tali quesiti, potrebbe legittimamente pensare che il Parlamento abbia approvato leggi incredibilmente contrarie all’etica e magari per tutelare chissà quali interessi.
Democrazia diretta strumento imperfetto
La ragione per cui la democrazia diretta non esiste e al suo posto vige la democrazia mediata dagli eletti, risiede anche nel fatto che la prima non garantirebbe coerenza normativa. Non a caso, la Costituzione stessa vieta che i referendum si possano tenere sulle leggi tributarie e di bilancio. Vi siete mai chiesti perché? Immaginate di essere chiamati a votare un quesito per eliminare un’imposta, ad esempio l’IRPEF.
Votereste mai a favore del suo mantenimento? E immaginate che il quesito subito dopo vi chiedesse di aumentare servizi e sussidi a favore del cittadino. Anche in quel caso sarebbe conveniente votare a favore.
Ebbene, ne scaturirebbe una legislazione che riduce le imposte (entrate) e aumenta i servizi (spesa pubblica). L’indomani mattina lo stato potrebbe dichiarare fallimento. La democrazia indiretta, per quanto imperfetta (e lo è palesemente), consente di mediare tra le legittime istanze popolari e una visione coerente delle cose. I pasti gratis non esistono, per cui bisogna trovare di volta in volta il modo di rappresentare gli interessi di qualcuno senza compromettere quelli degli altri o compromettendoli il meno possibile.
Occupazione in crescita e meno precaria
Nel caso dei referendum sul lavoro, più norme rigide a tutela del lavoratore si traducono in minore occupazione e stipendi più bassi. Poiché è l’opposto di quello che desideriamo tutti, come ne usciamo? Evidentemente, rifuggendo dagli slogan. Il che non significa che non possano esistere legislazioni alternative a quella attuale italiana. Nello specifico, però, il ritorno al passato non sembra una buona soluzione. Prima del Jobs Act avevamo tassi di occupazione sotto il 55%, mentre oggi siamo saliti a circa il 63%. E i contratti erano percentualmente più precari, perché le imprese avevano paura di assumere.
In un mondo perfetto, nessuna impresa dovrebbe poter licenziare senza giusta causa. Ci sarebbe il rischio che lo facesse per ragioni discriminatorie non sempre dimostrabili. Ma nel mondo reale le cose vanno diversamente. Non è facile dimostrare che un dipendente sia scansafatiche o incapace o abusi del suo ruolo o crei un clima tossico in azienda, specie se di piccole dimensioni. Dunque, la rigidità delle leggi, nata dall’ottima intenzione di tutelare la parte debole (il lavoratore) contro le possibili soverchierie degli imprenditori, era finita per farne nascere di altre e ai danni non solo dei secondi, ma del sistema economico in generale.
Referendum sul lavoro inutili
Sottoporre agli italiani quesiti sensibili sul lavoro al referendum non è una buona scelta, perché dilania l’opinione pubblica senza alcuna ragione apparentemente valida. Oggi non stiamo peggio rispetto a 10 anni fa, quando erano in vigore le vecchie leggi. Anzi, stiamo meglio. L’economia è un po’ cresciuta e l’occupazione molto di più.
I giovani trovano lavoro molto più facilmente, anche se resta il problema delle basse retribuzioni. Le opportunità si sono moltiplicate, per cui è fuori luogo istigare al conflitto sociale solo per celebrare ai seggi le primarie del centro-sinistra. Perché alla fine di questo si tratta.