Ieri, il premier Matteo Renzi ha festeggiato il traguardo dei 2 anni di governo. Un compleanno difficile, perché arriva in una fase delicata per l’esecutivo, stretto tra le critiche della Commissione europea e la “freddezza” degli alleati nell’Eurozona e le difficoltà interne, derivanti dai conti pubblici, le banche e temi sensibili, come le unioni civili. Ma aldilà della retorica politica dell’una e dell’altra parte, vediamo quali risultati sono stati conseguiti in 24 mesi di “renzismo” al governo. Quando il premier fece ingresso a Palazzo Chigi, soffiando il posto al collega di partito Enrico Letta dopo appena 10 mesi dal suo insediamento, il pil in Italia tornava a contrarsi dello 0,1% rispetto al trimestre precedente, quando sembrava che fossimo usciti dalla recessione, grazie a un timidissimo +0,1% congiunturale.

Su base annua, il prodotto interno lordo del nostro paese arretrava ancora dello 0,5%.

Ripresa economica fragile

Il 2014 doveva essere l’anno della ripresa, dopo 2 esercizi difficilissimi per la nostra economia, tanto che qualche maligno ritenne che la “cacciata” improvvisa di Letta ad opera di Renzi fosse conseguenza della volontà di quest’ultimo di raccogliere sin dall’inizio i frutti del miglioramento dell’outlook. Invece, le cose andarono diversamente: l’attuale premier poté rivendicare solo un dato finale meno negativo dell’anno precedente, ma nulla di più. Il pil diminuì nel 2014 dello 0,4% dal -1,9% del 2013 e dal -2,4% del 2012. A quel punto, la ripresa veniva spostata al 2015, quando ci si aspettava una crescita vicina all’1%. L’ultima stima del Def la vedeva allo 0,9%. Stando ai dati preliminari dell’Istat, si sarebbe fermata allo 0,7% e tenendo conto di 4 giorni lavorativi in più, il pil sarebbe stato solamente dello 0,6% in più rispetto all’anno precedente. E’ di ieri la notizia, invece, che lo stesso premier ha rivisto al ribasso al +1,4% le previsioni di crescita per l’anno in corso dal +1,6% atteso a novembre, ma già l’OCSE ha tagliato le sue previsioni al +1% dal +1,4%.

Dunque, riepilogando, sul fronte della crescita economica, Renzi ha esitato un esercizio con un calo del pil dello 0,4% e uno con un aumento dello 0,7%. Nell’insieme, siamo appena al di sopra dello zero.        

Sul lavoro qualche passo in avanti

Passiamo alla disoccupazione. Quando Renzi varcò la soglia di Palazzo Chigi, il tasso dei senza lavoro era al 13% e la disoccupazione giovanile (15-24 anni) si attestava al 42,3%. In valore assoluto, erano alla ricerca di un posto di lavoro più di 3,3 milioni di persone, record dall’inizio delle serie storiche dal 1977. Gli occupati erano 22 milioni 216 mila, pari al 55,2% della forza lavoro potenziale. L’ultimo dato disponibile riguarda lo scorso mese di dicembre, quando il tasso di disoccupazione era pari all’11,4% (ai minimi da 3 anni) e tra i giovani al 37,9%. In valore assoluto risultavano alla ricerca di un posto 2,9 milioni di persone. Il tasso di occupazione era del 56,4%, pari a 22.470 mila unità. Sul fronte del lavoro, quindi, si hanno i seguenti risultati: sotto Renzi, il tasso di disoccupazione è sceso dell’1,6% e il numero dei disoccupati è diminuito di 400.000 unità. Allo stesso tempo, inferiore è stata la crescita degli occupati, di appena 254 mila unità, segno che un buon 40% in meno di disoccupati sarebbe conseguenza dell’effetto scoraggiamento, ossia del fatto che in molti rinunciano a cercare attivamente un impiego, non confidando di poterlo trovare.

Conti pubblici non entusiasmanti

Conti pubblici: qui il confronto è meno immediato, perché andrebbe compiuto tra anni e non tra mesi. Il governo Letta entrò in carica nell’aprile del 2013 e svaligiò nel febbraio del 2014. Ebbe solo il tempo di approvare una legge di stabilità, quella dagli effetti ricadenti sul 2014. Tuttavia, riuscì a centrare l’obiettivo di restare sotto il tetto massimo di deficit al 3%, fermandosi al 2,9%.

L’obiettivo per l’anno successivo era di scendere ulteriormente, ma il governo Renzi, appena insediatosi, annunciò un rinvio degli obiettivi e un certo uso della flessibilità accordataci da Bruxelles. Il 2014 si chiude così con un disavanzo fiscale del 3%, peggiorato di 1,6 miliardi rispetto all’anno prima, mentre il 2015 si dovrebbe essersi concluso con un deficit al 2,6%, nettamente al di sopra del 2,2% precedentemente concordato.        

Qualche miglioramento sui mercati

Il debito pubblico nel febbraio di 2 anni fa era di 2.107 miliardi, ma nel dicembre scorso risultava salito a 2.170 miliardi, registrando una crescita di 63 miliardi di euro. Ma il vero confronto andrebbe operato con il dicembre del 2013, perché l’indebitamento della Pubblica Amministrazione tende ad aumentare vertiginosamente nella prima parte dell’anno, per l’accumulo di scorte di liquidità da parte del Tesoro, salvo scendere parzialmente negli ultimi mesi dell’esercizio. Ebbene, Letta chiuse il 2013 con un debito di 2.067,5 miliardi, per cui la crescita subita sotto il successore sarebbe stata di 102,4 miliardi. Si consideri che grazie alla BCE, nel 2015 si è registrato il più basso costo di rifinanziamento del debito, crollato allo 0,65% dall’1,35% del 2014 e dal 2,08% del 2013. Pressione fiscale: era al 44,3% nel 2013, mentre nel 2015 sarebbe scesa al 43,7%. E vediamo lo spread BTp-Bund. Misura il premio al rischio desiderato dagli investitori per acquistare titoli del debito pubblico italiano rispetto a quelli tedeschi. Era a 180 punti base nel febbraio del 2014, oggi si attesta a 135 bp sulla scadenza decennale. Va detto, però, che nel frattempo sono intervenuti gli stimoli monetari della BCE, che hanno ristretto il divario tra i bond dell’Eurozona, facendone crollare i rendimenti ai minimi storici. Per questo, prendiamo un altro parametro come riferimento per valutare lo stato di fiducia del mercato verso il nostro debito sovrano, ovvero le esposizioni degli investitori stranieri. Essi detenevano 652 miliardi di titoli italiani nel febbraio del 2014, mentre nel dicembre scorso ne possedevano per 719,8 miliardi: +67,8 miliardi. In termini percentuali, rispetto al debito quotato, si passa dal 36,8% al 38,5%.

Infine, analizziamo l’andamento della borsa, che certamente non è legato solo e tanto al governo in carica, ma che potrebbe suggerirci qualcosa sul riscontro di un esecutivo presso gli investitori privati nazionali ed esteri. Da quando Renzi è in carica, Piazza Affari registra un -15%, anche se aveva chiuso il 2015 con un rialzo del 17,6%. Sotto il governo Letta era cresciuta del 21%.