Sono giorni difficili per le banche italiane, tornate nel mirino dei mercati, a causa dell’elevato stock di sofferenze, pari a 201 miliardi di euro, oltre a 150 miliardi di crediti incagliati e scaduti. In tutto, sono 350 miliardi i crediti deteriorati, a fronte di 1.830 miliardi di impieghi totali. E dopo il salvataggio di Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e Carife, molti risparmiatori si chiedono se i loro soldi in banca siano davvero sicuri o se non si nasconda qualche trappola nelle pieghe della nuova legislazione, quella che dall’1 gennaio del 2016 ha fatto scattare il cosiddetto “bail-in”.

Facciamo chiarezza. Le nuove norme prevedono che nel caso di rischio di insolvenza, una banca debba gravare le perdite sugli azionisti, successivamente agli obbligazionisti subordinati, dopo ancora sugli obbligazionisti ordinari, e qualora ancora il rosso non fosse stato coperto fino al limite dell’8% delle passività complessive, potranno essere chiamati a partecipare alle perdite anche i titolari di conti correnti al di sopra dei 100.000 euro e limitatamente alla somma al di sopra di tale soglia.

Esempi pratici

Per intenderci, se possiedo un conto corrente o deposito di 140.000 euro, la banca potrebbe intaccare in tutto o in parte solo 40.000 euro, ossia la somma eccedente i 100.000 euro. E se possiedo un conto cointestato, la garanzia salirà a 100.000 euro per ciascuno dei cointestatari, quindi, se fossero 2, i conti saranno tutelati fino a 200.000 euro in tutto. Viceversa, se presso la stessa banca ho 2 conti correnti o deposito, uno di 80.000 euro e l’altro di 50.000 euro, le 2 cifre si sommano e dal punto di vista della normativa, è come se avessi un unico conto da 130.000 euro, per cui la garanzia non varrebbe più per la quota eccedente i 100.000 euro complessivi.        

Tutela effettiva sotto i 100.000 euro?

In verità, il governo avrebbe facoltà di intervenire per impedire che siano intaccati i conti bancari sopra i 100.000 euro, qualora ritenesse che ciò possa destabilizzare la tenuta del sistema creditizio del paese.

E difficilmente si potrebbe pensare il contrario, visto che se fossero toccati i conti dei correntisti di una banca, si potrebbe scatenare una corsa agli sportelli dei risparmiatori anche delle altre banche, di fatto provocando una crisi d’insolvenza generalizzata. Al di sotto dei 100.000 euro, invece, per quanto detto sopra, non dovrebbero esserci problemi. Attenti, però, perché le cose stanno un po’ diversamente da come ce le raccontiamo. I conti fino a 100.000 euro sono garantiti dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD). Questi viene alimentato ogni anno dalle banche aderenti, a copertura solo parziale dell’ammontare dei conti potenzialmente da garantire. Stando ai calcoli effettuati sui dati offerti dallo stesso Fondo, attualmente ammonterebbe a poco più di 500 miliardi di euro il valore dei risparmi tutelati, a fronte dei quali risultano accantonati 1,7 miliardi. Ora, è vero che sarebbe inutile e spropositato che il Fondo disponesse di tutti i 500 miliardi potenzialmente necessari per salvare l’intero risparmio garantito degli italiani, ma le somme ad oggi stanziate dalle banche per i casi di necessità di intervento rappresentano appena lo 0,33% della cifra totale da garantire. Un po’ pochi, persino per gli standard europei, se è vero che l’Unione bancaria, ovvero la realizzazione della disciplina comune per i salvataggi degli istituti nell’Eurozona, ha previsto che entro 10 anni, tutti i fondi degli stati membri dovranno dotarsi di stanziamenti non inferiori allo 0,8% delle somme potenzialmente garantite.        

Rischio di prelievo forzoso?

Per l’Italia, significa che gli stanziamenti accantonati dalle banche più che raddoppieranno a 4 miliardi nel prossimo decennio, pur restando relativamente basse. E’ verosimile, infatti, che nel caso di difficoltà di una qualche banca di medie dimensioni, gli altri istituti debbano metter mano al portafoglio per rimpinguare immediatamente le casse del fondo e rendere quanto meno sufficienti le risorse in favore dei risparmiatori salvati.

Ma c’è un altro aspetto su cui ci si concentra di meno e sul quale si registra anche tra la stampa notevole confusione. A differenza di quanto molti giornali scrivono, il “bail-in” non è un prelievo forzoso ai danni dei correntisti, bensì un loro coinvolgimento nelle perdite dell’istituto. Il prelievo forzoso è quello, che avvenne in Italia nella notte tra il 9 e il 10 luglio del 1992, quando l’allora governo Amato decise di “salvare” i conti pubblici, tassando tutti i conti bancari dello 0,6% e incassando all’istante 11.500 miliardi di lire. La conseguenza fu che gli italiani si svegliarono un tantino più poveri, mentre la sfiducia sui mercati s’impennò, la speculazione di abbatté sulla lira, che dovette uscire dallo SME, mentre l’economia italiana entrò in recessione. Domanda: ma i conti fino a 100.000 euro sono tutelati da un prelievo forzoso? Risposta: assolutamente no. Infatti, si tratta di una forma di tassazione, che può colpire i conti di qualsiasi dimensione, stando al governo la scelta di quali eventualmente escludere dalla stangata. Altra domanda: c’è l’effettivo rischio che ciò avvenga?        

Quadro politico cambiato nelle ultime settimane

Fino a poche settimane fa, la risposta sarebbe stata certamente di no. Oggi, il quadro politico e finanziario sembra un po’ mutato. Il governo Renzi è sotto attacco da parte della Commissione europea e tra gli argomenti di maggiore scontro c’è proprio quello delle banche. La Germania ritiene che debba trovarsi una volta per tutte una soluzione per la crisi dell’Italia e che siano le elevate sofferenze bancarie a impedire la ripresa del Bel Paese. Inoltre, i commissari ritengono che il nostro paese stia godendo persino eccessivamente della flessibilità sui conti pubblici e che questa sia sprecata per misure poco ortodosse, come il taglio delle tasse in deficit. Appare molto improbabile che il governo Renzi colpisca i conti degli italiani con un prelievo forzoso, perché nessun esecutivo politico verosimilmente lo farebbe.

Il 1992 fu una situazione eccezionale e anche quello di Giuliano Amato, in fin dei conti, fu un governo di emergenza. Ma il discorso cambia, se all’orizzonte si affacciasse l’ipotesi di un ritorno dei tecnici, come Mario Monti alla fine del 2011. Stavolta, l’Europa incrementerebbe la pressione su Roma, affinché sia aggredito il ricco patrimonio privato degli italiani, pari a 5,5 volte il pil. E c’è una ricchezza liquida, prontamente disponibile, che farebbe gola a qualsiasi governo tecnico; parliamo dei 1.700 miliardi di depositi bancari, di cui 300 delle società non finanziarie. Una tassa patrimoniale “una tantum”, magari con il nome di incremento dell’imposta di bollo, dell’1% porterebbe subito nelle casse dello stato 17 miliardi, più dell’1% del pil, se l’aliquota si applicasse a tutti i conti. Se si escludessero quelli fino a 100.000 euro per ragioni di pace sociale, gli introiti sarebbero comunque 10 miliardi e magari potrebbero salire con un’aliquota più elevata.