E’ stato un piccolo shock per i mercati ieri pomeriggio, quando il comunicato della BCE delle 13.45 non ha annunciato alcuna novità in fatto di tassi, né in merito al potenziamento degli stimoli monetari, il “quantitative easing”. Questi restano nella misura di 80 miliardi al mese e dureranno “almeno” fino al marzo prossimo, ma un’estensione sarò possibile, qualora si rendesse necessaria, cioè se l’inflazione nell’Eurozona non tendesse al target di quasi il 2% nel medio termine.

Come mai, nonostante la revisione al ribasso delle stime d’inflazione e sul pil nel complesso del triennio 2016-2018 (quelle sul pil di quest’anno sono state leggermente riviste al rialzo), il governatore Mario Draghi non ha “strappato” ai consiglieri del board nuove misure?

Appello alla Germania: spendete

E’ lo stesso governatore, in conferenza stampa, a chiarire forse quanto è accaduto.

Dopo aver ribadito che la BCE farà tutto il necessario per centrare il suo obiettivo, ha fatto appello ai governi dell’Eurozona, invitando “tutti” ad attuare riforme strutturali per rafforzare la crescita nel medio-lungo periodo e a quelli che hanno margini di bilancio di utilizzarli a favore di tutta l’area, mentre chi non ha spazio di manovra sui conti pubblici dovrebbe scegliere più opportunamente la composizione della spesa pubblica in funzione di una maggiore crescita economica.

Da queste parole, emergono sostanzialmente due appelli: proseguire ovunque con le riforme; la Germania, unica economia a possedere reali spazi di manovra fiscale, dovrebbe potenziare gli investimenti, in modo che i partner dell’unione monetaria beneficino di una sua maggiore domanda di loro beni e servizi.

 

 

 

Boom euro-scettici in Germania contro Draghi

Sempre Draghi puntualizza che gli investimenti in infrastrutture sarebbero positive per la crescita, quasi suggerendo ai tedeschi come utilizzare al meglio i miliardi, che potrebbero spendere per stimolare la crescita nell’area.

Il ministro delle Finanze di Berlino, Wolfgang Schaeuble, che certo non si fa dettare l’agenda economica né da Draghi e nemmeno forse dalla stessa cancelliera, ha annunciato un piano di tagli alle tasse per 17 miliardi, questa settimana, ma a decorrere da dopo il 2017. Il bilancio pubblico dovrebbe chiudere quest’anno con un saldo attivo di 35 miliardi, l’1,2% del pil.

La Germania sente di fare la sua parte per la crescita, ma allo stesso tempo recrimina di venire destabilizzata politicamente proprio dalla BCE. Nella primavera scorsa, Schaeuble tirò pubblicamente le orecchie a Draghi, con un discorso inconsueto per la prudente politica teutonica, rispettosa dell’autonomia della banca centrale. Il ministro definì il governatore il co-responsabile dell’avanzata degli euro-scettici in Germania, gli stessi che domenica scorsa hanno battuto in casa il partito della cancelliera Angela Merkel nel suo Land del Mecklenburg-Vorpommern.

Risparmiatori tedeschi contro tassi negativi

La polemica si fonda sull’ostilità crescente tra i risparmiatori e le banche tedeschi ai tassi zero e negativi adottati dalla BCE contro la bassa inflazione. Gli stessi acquisti di titoli di stato sono nel mirino dell’opinione pubblica in Germania, perché avvertiti come una condivisione subdola dei debiti tra gli stati dell’Eurozona e come il tentativo di trasformare l’istituto di Francoforte in una “bad bank”.

Piaccia o meno, Frau Merkel deve confrontarsi con questi umori interni e presenti in maniera profonda nel suo partito. Un indebolimento della cancelliera oggi sarebbe un disastro, perché l’Europa resterebbe senza una guida, che per quanto informale e molto perfettibile, appare sempre meglio della carente leadership dei commissari europei, il cui operato è poco apprezzato e e sempre meno legittimato ovunque nel Vecchio Continente.

 

 

 

Accordo segreto Draghi-Merkel

Per venire incontro alle esigenze elettorali della Merkel (in Germania si vota nel settembre dell’anno prossimo) è possibile che Draghi stia trattando sottotraccia con il governo tedesco una pausa, rispetto alla volontà finora ostentata di potenziare ulteriormente gli stimoli in corso di attuazione.

I tedeschi mostrerebbero il loro disappunto, punendo i conservatori al potere e ingrossando le file degli euro-scettici, con il risultato che in futuro sarebbe a rischio il sostegno politico a Francoforte della prima economia dell’area.

Meglio, quindi, se Draghi rallentasse la sua corsa verso l’adozione del super-QE, in modo da stemperare le tensioni elettorali in Germania e di continuare a godere tra un anno di un governo tedesco sostanzialmente dalla sua parte, a copertura politica delle sue azioni.

Certo, l’accordo immaginato sarebbe valido solo se le condizioni economico-finanziarie lo consentono. Un apprezzamento eccessivo dell’euro, un deterioramento delle prospettive d’inflazione e di quelle di crescita economica nell’Eurozona spingerebbero Draghi ad agire con nuovi interventi. A quel punto, la Merkel dovrebbe inventarsi qualcos’altro per contenere le ire interne.