Il taglio dell’IRPEF per il ceto medio sarebbe un rimborso

La premier Giorgia Meloni promette il taglio dell'IRPEF in favore del ceto medio e incassa la standing ovation dei commercialisti.
1 settimana fa
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Taglio IRPEF al ceto medio
Taglio IRPEF al ceto medio © Licenza Creative Commons

Sono giorni decisamente positivi per il governo presieduto da Giorgia Meloni. Dopo la fallita spallata degli avversari ai referendum di domenica e lunedì, ieri c’è stata la standing ovation riservata alla premier dagli stati generali dei commercialisti. Giocava in casa con il ministro degli Esteri e leader di Forza Italia, Antonio Tajani. La categoria è notoriamente vicina al centro-destra. Ma quel tutti in piedi ha avuto quasi il senso di una benedizione. E Meloni stava parlando di fisco, della necessità di renderlo non opprimente e varare un taglio dell’IRPEF in favore del ceto medio. Come dire, adesso non ti potrai tirare più indietro.

Taglio IRPEF per secondo scaglione

Tajani porta avanti da mesi la battaglia della riduzione della seconda aliquota dal 35% al 33%. Grava sui contribuenti con redditi lordi tra 28.000 e 50.000 euro. Al massimo di questo scaglione ci sarebbe un risparmio di 440 euro all’anno, quasi 37 euro al mese. Non è granché, per cui bisognerebbe fare decisamente di più. Già in sede di legge di Bilancio per il 2025 si era ipotizzato di estendere il primo scaglione sopra i 28.000 euro, così da incrementare il beneficio per una parte della platea. Ad esempio, innalzandolo a 35.000 euro, l’aliquota crollerebbe dal 35% al 23% per i redditi tra 28.000 e 35.000 euro. Il risparmio massimo crescerebbe di 840 euro, 70 euro al mese. Già ben più significativo.

Serviranno coperture finanziarie

Il taglio dell’IRPEF dovrà tenere conto dei saldi di bilancio. Proprio adesso che le agenzie di rating ci stanno premiando con diversi upgrade dei nostri titoli di stato, l’ultima cosa da rischiare è il terribile effetto Truss. Nell’autunno del 2022 l’allora neopremier britannica Liz Truss annunciò un maxi-taglio delle tasse in deficit.

I mercati reagirono furiosamente, i rendimenti esplosero e intervenne la Banca d’Inghilterra per evitare la crisi del debito. Il capo del governo ci rimise la testa e pochi giorni fa il Partito Conservatore ha chiesto scusa e promesso che mai più intaccherà la propria reputazione fiscale.

Va da sé, dunque, che il taglio dell’IRPEF debba avvenire con le doverose coperture. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, prende tempo e nota che vi siano ancora due anni e mezzo per la conclusione della legislatura. In cuor suo non vorrebbe trovarsi a dover tagliare la spesa pubblica per ridurre un po’ la pressione fiscale al ceto medio. Ma la politica non può ridursi alla ragioneria spicciola. La riduzione delle tasse non è solo una promessa elettorale da mantenere, bensì soprattutto una necessità per l’economia italiana.

Entrate fiscali cresciute oltre l’inflazione

Se la premier Meloni ha sfoggiato con orgoglio i dati record sul recupero dell’evasione fiscale nel 2024, altri numeri suggeriscono che i conti pubblici stiano migliorando prima e più del previsto anche per effetto di maggiori entrate ordinarie. Nei primi due anni del suo governo, il gettito IRPEF è salito di 30 miliardi senza tenere conto delle addizionali regionali e comunali. In rapporto al Pil è passato dal 10,3% al 10,75%. L’intero gettito tributario ha segnato un +11%, che al netto dell’inflazione diventa +4,7%.

Significa che i contribuenti hanno versato di più in termini reali e anche in rapporto al Pil: dal 30,5% al 30,85%.

Per l’IRPEF questo discorso vale particolarmente: +14,4% nominale, +8,1% reale. Dunque, il taglio dell’IRPEF non sarebbe altro che un rimborso postumo dei maggiori versamenti di questi anni. Nell’ipotesi più spinta sopra accennata, riporterebbe verosimilmente il rapporto tra entrate e Pil ai livelli del 2022 ereditati dall’attuale governo. In pratica, nessuno sconquasso dei conti pubblici. Ciò non toglie – è bene ripeterlo – che potrà avvenire solo ed esclusivamente con tagli alla spesa di eguale importo.

Imposte dirette maggioritarie

Non c’è solo il taglio dell’IRPEF per andare incontro al ceto medio. Includendo anche le altre imposte versate dai lavoratori autonomi e le imprese, il conto sale al 16,7% del Pil, cioè sopra 310 miliardi. Esse incidono per il 54% dell’intera imposizione fiscale. E poi ci sono i contributi previdenziali, che ammontano a carico di lavoratori, imprese e stessa Pubblica Amministrazione per un altro 11,5% abbondante del Pil.

L’esigenza di premiare finalmente il ceto medio è insieme politica ed economica. Meno di un sesto dei contribuenti versa quasi i due terzi dell’intero gettito IRPEF. Una situazione non sostenibile, perché ha portato allo sfruttamento di una minoranza da parte di un’altra minoranza numericamente più grossa e sempre più affamata di sussidi e prebende pubbliche di ogni tipo.

Taglio IRPEF limitato da impegni NATO

Ad essere onesti, il taglio dell’IRPEF sarà limitato dall’impegno di aumentare la spesa militare fino al 5% del Pil. Verrà suggellato al vertice NATO di fine mese a Bruxelles. Per quanto nella voce di bilancio saranno fatte entrare spese già sostenute sotto altre denominazioni, qualche aggravio ci sarà. E la coperta, già cortissima, non potrà più essere tirata. Ma con l’avvicinarsi delle elezioni sembra improbabile che ci saranno corposi tagli alla spesa per finanziare la misura. Solo un aumento del gettito molto superiore alle attese, magari a seguito di una straordinaria crescita del Pil con tanto di discesa del deficit, creerebbe spazi di manovra.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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