Gli italiani saranno chiamati a votare su cinque quesiti al referendum che si terrà l’8 e il 9 giugno. Di questi, quattro riguarderanno il lavoro e uno la cittadinanza. Stando ai sondaggi, difficilmente sarà raggiunto il quorum del 50% più un votante. Governo e centro-destra invitano all’astensionismo, mentre gran parte delle opposizioni e la CGIL sono per il voto. Di fatto, l’appuntamento si è trasformato in una sorta di regolamento dei conti a sinistra. Ieri, l’area riformista del Partito Democratico ha segnalato pubblicamente con un documento pubblicato su Repubblica che voterà a favore solamente di due quesiti: sulla cittadinanza e sulla responsabilità in solido delle ditte appaltanti in tema di sicurezza.
Referendum di giugno divide PD
Il PD di Elly Schlein è fortemente schierato per 5 sì, anche se il partito non è unito come abbiamo visto. E la ragione è elementare: le leggi che il referendum di giugno punta ad abrogare, furono approvate dallo stesso governo del PD nel 2014. A Palazzo Chigi c’era Matteo Renzi, che adesso non può certo schierarsi contro sé stesso. Italia Viva e Azione sono disinteressati alla chiamata, mentre il Movimento 5 Stelle la cavalca particolarmente sui temi del lavoro.
CGIL di Landini promotore dei 5 quesiti
Gli stessi sindacati sono divisi. La CGIL di Maurizio Landini ha raccolto le firme per i referendum di giugno ed è, pertanto, schieratissima a favore dei cinque quesiti. La CISL ha già fatto sapere di ritenere lo strumento poco idoneo per affrontare tematiche complesse come il lavoro. Infine, la UIL si è detta favorevole a due quesiti, lasciando libertà di coscienza sugli altri tre.
Insomma, se l’obiettivo fosse stato di creare un blocco sociale in difesa del lavoro, possiamo affermare che sia andata esattamente al contrario.
Infatti, l’obiettivo non è mai stato quello. I referendum di giugno nacquero per cercare di dare una spallata al governo Meloni. Tra i quesiti vi erano anche quelli relativi all’autonomia differenziata, che probabilmente avrebbero attirato molti elettori ai seggi, data la tematica sensibile. Ma la Corte Costituzionale li bocciò. Landini & Co rimanevano così con il cerino in mano di quesiti che non scaldano i cuori, non fosse altro perché dall’approvazione del Jobs Act sono passati undici anni e gli effetti sul mercato del lavoro sono stati positivi in termini di maggiore occupazione e minore precarietà.
Schlein e Landini alleati avversari
Dimezzare a 5 gli anni di residenza in Italia necessari per chiedere la cittadinanza, non è evidentemente argomento che attira le masse. Ed è per questo che a sinistra si è fatto di necessità virtù. I referendum di giugno serviranno a ridefinire i rapporti di forza all’interno del PD tra la segretaria e le minoranze riformiste; ma anche tra PD e CGIL. Landini punta ad affermare la propria leadership nel campo progressista. Non è un mistero che ambisca a guidare il PD. Schlein lo sa e si è schierata mani e piedi con la sua linea per condividerne l’eventuale successo.
Entrambi sanno che probabilmente il quorum non sarà raggiunto e avrebbero fissato un secondo obiettivo: portare ai seggi più italiani dei circa 12 milioni che nel settembre 2022 votarono per i partiti di centro-destra oggi al governo. Un modo per dire che avrebbero la “maggioranza” dei cittadini con loro. Intendiamoci, si tratterebbe di una giustificazione mediatica che farebbe acqua da tutte le parti. Ma dinnanzi all’eventuale flop, bisognerebbe pure inventarsi qualcosa per non essere considerati sconfitti.
Referendum di giugno rischio boomerang a sinistra
La vicenda, però, rischia di provocare il classico effetto boomerang. La minoranza riformista nel PD annovera esponenti come Lorenzo Guerini, Marianna Madia e Pina Picierno, per niente intenzionati a cedere alle pulsioni radicali di Schlein e Landini. Tant’è che si parla di scissione, con l’area che farebbe armi e bagagli per creare un nuovo soggetto politico centrista proprio con Renzi. Anziché semplificare, i referendum di giugno potrebbero rendere ancora più complicato il quadro delle alleanze nelle opposizioni. E nel frattempo l’unità sindacale va a farsi benedire, che è il contrario di quello che serve ai lavoratori per sperare di portare a casa aumenti salariali finalmente idonei a compensare la perdita del potere di acquisto patita negli anni.