Ripetiamo per l’ennesima volta, onde evitare fraintendimenti: i dazi imposti o anche solo annunciati dall’amministrazione Trump non saranno la soluzione al deficit della bilancia commerciale americana. Se gli USA importano troppo ed esportano meno, lo si deve agli eccessi di spesa pubblica del loro governo, nonché al ruolo del dollaro come valuta di riserva globale. Restringere i commerci tra stati è una cattiva idea, specie se arriva dopo decenni di globalizzazione, durante i quali le catene di produzione si sono allungate e le interdipendenze economiche tra aree del pianeta si sono intensificate come mai prima nella storia.
Sui dazi di Trump eccesso di propaganda
Valeva la pena fare questa premessa, perché vogliamo evidenziare un altro dato saltato agli occhi in queste settimane di turbolenze finanziarie: la propaganda.
Si è messa in moto la macchina dei media anti-trumpiani, riscopertisi strenui sostenitori di quel libero mercato tanto contestato fino a un mese fa. Se i titoli dei giornali erano stati fino ad inizio aprile incentrati sulla presunta “globalizzazione senza regole” o sugli “eccessi del mercato”, adesso sono stati rimpiazzati dall’altrettanto presunta “stupidità” di Donald Trump. Questi sarebbe incapace di comprendere il funzionamento dell’economia e della geopolitica e starebbe portando l’economia americana nel baratro. Addirittura, fior di economisti e analisti ci spiegano da mattina a sera che il dollaro starebbe perdendo il suo status in favore dell’euro (cercate di non ridere).
Cina apre a trattative
La propaganda nel breve termine può riuscire a vincere fino a quando i fatti non s’incaricano di smentirla. Ieri, le borse mondiali chiudevano fortemente positive sulla notizia che la Cina di Xi Jinping apre alle trattative con gli USA. I duri e puri a Pechino, coloro che mai avrebbero ceduto ai capricci di un presidente instabile, alzano bandiera bianca. Sui dazi di Trump negozieranno. Com’era ovvio che fosse, tranne per i media ideologizzati.
Questi ci continuano a propinare la barzelletta di un’economia cinese capace di resistere alla chiusura del mercato americano.
UE cerca accordo con USA
Come se non bastasse, nelle stesse ore arriva la notizia che il commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic, ha offerto agli USA un assegno da 50 miliardi di dollari in maggiori acquisti di GNL (Gas Naturale Liquefatto), soia e altri prodotti americani. In cambio dell’eliminazione dei dazi di Trump, portati temporaneamente al 10% e destinati a raddoppiare al 20% a luglio senza un accordo commerciale. Nel frattempo, decine di altri governi stanno siglando intese con Washington.
E così, Trump “il pazzo” ottiene esattamente il risultato sperato: costringere con le cattive il resto del mondo ad aumentare le importazioni di merci dagli USA. Certo è che non basterà a riequilibrare una bilancia commerciale in passivo ormai cronicamente per oltre 1.000 miliardi di dollari all’anno. Tuttavia, la strategia del tycoon andrebbe letta nel suo complesso. Piaccia o meno, essa ha portato a un deprezzamento del dollaro del 10% dai massimi di gennaio. Ciò contribuirà ad aumentare le esportazioni delle imprese americane. E se è vero che un cambio più debole rischi di risollevare l’inflazione, d’altra parte le tensioni di queste settimane hanno fatto sprofondare le quotazioni delle materie prime.
Petrolio in caduta libera
Prendete il Brent. Stava a 75 dollari e ora viaggia a 62 dollari al barile. Il WTI americano è sceso sotto 60 dollari, perdendo il 18% in meno di un mese. In un certo senso, questo trend compensa il fattore cambio sui prezzi al consumo e agevola l’agognato taglio dei tassi di interesse. Per l’Eurozona, tra euro più forte e petrolio in caduta, su base annua stiamo assistendo ad un crollo prossimo al 30% con effetti disinflazionistici per la nostra economia. La borsa americana, dopo avere perso oltre il 20% in poche sedute, è risalita e adesso perde meno del 10% rispetto al picco massimo toccato a febbraio e che, va bene ricordarlo, non era certo un riferimento salutare per un mercato azionario ipercomprato ormai da tempo.
Trump sta usando i dazi per “estorcere” ai partner commerciali tutto quello che desidera. Anche le resistenze europee all’accordo di pace con la Russia stanno venendo meno per paura di indispettire la Casa Bianca nel corso delle trattative commerciali. La macchina della propaganda si concentra adesso sul possibile impatto negativo per l’economia americana, il cui Pil è scivolato dello 0,3% nel primo trimestre. Le imprese americane hanno aumentato le importazioni per anticipare le previste maggiori tariffe future e ciò ha ridotto algebricamente la crescita. A parte il fatto che non sia sintomatico in sé di una recessione, il presidente americano se ne infischia di questi zero virgola transitori dall’importanza più mediatica che di vita quotidiana.
Dazi di Trump strategia razionale
In conclusione, i dazi di Trump non serviranno a portare in attivo la bilancia commerciale americana. Né in sé faranno bene all’economia americana. Se il tycoon avesse successo nel rimpatriare le produzioni manifatturiere, i costi salirebbero al punto tale da rendere decine di beni di largo consumo nicchie per pochi privilegiati. L’operazione sta servendo come minaccia per ottenere altro. Probabile che alla fine delle trattative ci saranno aumenti dei dazi limitati e/o selettivi, il cui impatto sui prezzi al consumo negli USA sarà risibile.
Non stiamo asserendo che la Casa Bianca abbia ragione a fare ciò che sta facendo. Semplicemente, c’è del razionale in questa linea e volerla leggere con gli occhi della psichiatria dice molto di più di noi che non di chi accusiamo di essere pazzo. Siamo ostaggi di una propaganda di cui ogni giorno meno fatichiamo a distinguere dalla quotidianità reale.
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