A Mar-a-Lago, in Florida, il presidente USA, Donald Trump, ospiterà per due giorni il collega cinese Xi Jinping nel suo golf resort privato. E’ la prima volta che i due s’incontrano e quello di domani e dopodomani sarà certamente il vertice più importante che il tycoon avrà tenuto dal suo insediamento alla Casa Bianca, non solo perché stringerà la mano al presidente della seconda potenza economica mondiale, ma anche perché la Cina è stato il tema su cui Trump ha fatto campagna elettorale e probabilmente ha vinto, definendo la sua politica commerciale fondata sulla “manipolazione del cambio”, “il più grande furto della storia” ai danni del mercato del lavoro americano.

Dal suo account Twitter, Trump ha ammesso venerdì scorso che quello con Jinping sarà “un incontro molto difficile”. E ha detto la verità. I temi che le due superpotenze dovranno approfondire sono diversi e tutti molto delicati. Non è un caso che dell’incontro si stia occupando Jared Kushner, genero del presidente e a cui è stato nei giorni scorsi affidato proprio un ruolo specifico sugli affari esteri, a conferma del ruolo-chiave alla Casa Bianca del 36-enne marito di Ivanka. (Leggi anche: Guerra commerciale USA-Cina in corso?)

La questione dei dazi USA contro la Cina

L’argomento numero uno saranno le relazioni commerciali, nota dolente per Pechino e Washington. Gli scambi tra le due economie ammontano a ben 650 miliardi di dollari all’anno, ma sono estremamente sbilanciati in favore dei cinesi, che esportano verso gli USA quasi 350 miliardi in più di quanto importino. Il disavanzo verso la Cina rappresenta per l’America il 70% del passivo commerciale totale. Per Trump non c’è discussione: va tagliato.

Il presidente ha minacciato l’adozione di dazi al 45% contro le merci cinesi, nel caso Pechino continuasse a manipolare il cambio. Il problema è che da mesi la banca centrale cinese, la PBoC, starebbe facendo l’esatto contrario, ovvero sostiene lo yuan per impedire i deflussi di capitali in voga sin dall’estate del 2015.

La Cina starebbe sì manipolando il cambio, ma al momento nella direzione più desiderata da Trump; se smettesse di farlo, il disavanzo commerciale americano potrebbe persino aumentare. (Leggi anche: Guerra commerciale, Trump attacca la Cina)

Trump non vuole una guerra commerciale

Il presidente americano non può uscire dalla due giorni con un pugno di mosche in mano, specie dopo avere fallito sulla riforma dell’Obamacare. Sarebbe un colpo alla sua immagine di decision-maker. Acclarato, però, che realisticamente nessuno nella sua amministrazione vorrebbe scatenare una guerra commerciale con la Cina, che porterebbe solo guai ad entrambe le parti, cosa dovremmo attenderci?

Niente minaccia di dazi, non al primo incontro, ma Trump chiarirà al collega cinese che qualcosa Pechino dovrà fare per contribuire a risolvere lo squilibrio della bilancia commerciale americana. A proposito, sarà un caso, ma si vocifera che per domani la Casa Bianca potrebbe far rimettere ai voti al Congresso la riforma sanitaria, dopo il flop di due settimane fa. Coincidenza o volontà del presidente di portare a casa una rivincita nel giorno stesso in cui incontra Jinping, facendo passare in secondo piano un eventuale accordo minore con quest’ultimo? (Leggi anche: Mercati nervosi per sconfitta di Trump sull’Obamacare)

Possibile soluzione sui dazi USA

Dal vertice, Trump potrebbe brandire un’arma apparentemente potente, ma nei fatti concordata e tollerata dalla stessa Pechino: l’armonizzazione dei dazi. A dicembre, egli aveva proposto un dazio unico al 5% su tutte le merci importate, cosa che per i cinesi niente affatto inaccettabile, visto che applicano sui prodotti agricoli americani una tariffa del 9,7% e sugli altri prodotti una del 5%.

Ad oggi, gli USA impongono il 2,9% sui prodotti cinesi non agricoli e il 2,5% su quelli agricoli.

Trump e Jinping potrebbero accordarsi o con gli USA che aumentano i dazi ai livelli cinesi o con la Cina che li riduce a livello americano, magari attraverso un accordo specifico, date le problematiche relative alle clausole WTO, per le quali non possono avvenire discriminazioni tariffarie nei confronti di uno o più paesi, all’infuori di intese commerciali. (Leggi anche: Dazi USA al 5% su tutte le importazioni)

Accordo su infrastrutture?

Intendiamoci, l’allineamento dei dazi non ridurrebbe il deficit USA, se non forse marginalmente, ma servirebbe al governo americano per guadagnare tempo dinnanzi all’opinione pubblica e alla Cina per ottenere credito verso il partner. E Jinping potrebbe chiedere a Trump di entrare nel business delle infrastrutture, essendo in progetto un piano pubblico pluriennale da 1.000 miliardi di dollari per l’ammodernamento negli USA delle reti viarie, portuali, aeroportuali, dei ponti, degli edifici pubblici, etc.

Sul punto, la Casa Bianca non cederà facilmente, perché il rilancio delle infrastrutture punta anche a rafforzare l’occupazione americana. Pertanto, i due capi di stato potrebbero accordarsi per una soluzione mediaticamente efficace, ovvero su investimenti cinesi per qualche miliardo e la relativa creazione di migliaia di posti di lavoro; una sorta di trovata alla Jack Ma di gennaio, quando il boss di Alibaba promise la creazione di un milione di posti di lavoro in America.

Il capitolo Corea del Nord

Tema altrettanto delicato riguarda la Corea del Nord. In un’intervista al Financial Times, Trump ha chiesto alla Cina di fare pressione sul regime di Kim Jong-Un, dichiarando che “se lo farà, sarà un bene per la Cina, altrimenti sarà un male per tutti” e avvertendo, però, che l’America è intenzionata anche a fare da sola. Preoccupano le stravaganze nucleari del dittatore nordcoreano, chiaramente fuori controllo, e che nemmeno Pechino segnala di essere in grado di condurre a miti consigli.

A febbraio, dopo l’ennesima provocazione con il lancio di uno dei quattro missili balistici in acque in acque internazionali, il governo cinese ha annunciato la sospensione delle importazioni di carbone dal paese alleato del Sud, verso il quale ogni anno esporta sui 3,5 miliardi di dollari di merci e i cui scambi rappresentano il 90% del totale per Pyongyang.

Senza la Cina, evidenziano gli USA, la Corea del Nord sarebbe ridotta alla fame nel giro di poche settimane, per cui è Pechino a dovere agire, se non vorrà che intervenga Washington. (Leggi anche: Nord Corea, economia in ginocchio senza Cina)

La pressione USA su Pechino

Come potranno accordarsi i due? Jinping difende il regime nordcoreano per il timore che un suo collasso possa portare alla riunificazione delle due Coree, ritrovandosi alla frontiera uno stato guidato da un governo alleato degli americani. Trump potrebbe rassicurarlo, promettendogli che un simile scenario non sarebbe avallato e che tra Cina e Corea del Sud rimarrebbe uno stato-cuscinetto. (Leggi anche: Trump Corea del Nord: se la Cina non ci aiuta faremo da soli)

Le tensioni USA-Cina riguardano l’intera area, con Pechino a rivendicare il controllo di acque ed isole a discapito di altri paesi e chiedendo agli americani di tirarsi fuori dall’affare, non riguardandoli direttamente. E qui Trump si trova in una situazione delicata, perché gli alleati di Seul e Tokyo gli chiedono di confermare l’impegno a mantenere alta la sua presenza militare, ma potrebbe trovare conveniente mollare la presa e ottenere dai cinesi sia la soluzione del caso Corea del Nord, sia un riassetto delle relazioni commerciali in senso più favorevole agli interessi americani. Difficile, però, che un dossier così importante possa essere risolto in 48 ore.

Curiosità: la diplomazia del golf con Jinping potrebbe non funzionare, trattandosi di uno sport “per ricchi” che il presidente cinese si rifiuterebbe di praticare, avendolo bandito per i suoi dirigenti in Cina, secondo la retorica di Mao Zedong.