E’ stata davvero negativa la reazione dei mercati ai risultati degli stress-test della BCE. Nonostante abbiano esitato una sola bocciatura su 51 istituti europei esaminati – quella di MPS – in borsa i titoli bancari sono stati tendenzialmente tutti affossati, anche se alcuni hanno perso, nelle prime due sedute di questa settimana, complessivamente molto più di altri.

E dire che l’intento di questi test in versione “light” consisteva nel convincere gli investitori a tornare a puntare sulle banche europee, mostrandone la solidità.

Invece, le cose sono andate diversamente. In primis, perché diversi grandi istituti con sede nella UE, come Commerzbank, Société Générale e Deutsche Bank, si sono mostrati meno resilienti ad eventuali situazioni di stress, rispetto a due anni fa. Quelli italiani ne sono usciti complessivamente male, con la sola eccezione di Intesa-Sanpaolo, mostrando un grado di solidità patrimoniale in situazioni avverse inferiore alla media europea e di gran lunga più basso che in Francia, Germania e Spagna.

Stress-test screditati, Mario Draghi esce sconfitto

La stessa metodologia applicata agli stress-test è sembrata poco trasparente e volta semplicemente a rassicurare i mercati. E’ stato preso in considerazione solo circa un 40% delle banche esaminate due anni fa, escludendo quelle con sede in paesi come Grecia e Portogallo, che avrebbero esitato quasi certamente risultati negativi o molto negativi.

La “furbata” del governatore Mario Draghi di condurre esami cuciti addosso alle banche monitorate non sta pagando. Non era scontato il flop di una simile iniziativa, ma c’è già stato. E non è un dato irrilevante, perché segnala la sfiducia del mercato verso le azioni della BCE. In gioco c’è sostanzialmente la credibilità di Francoforte.

Non si potrebbe interpretare altrimenti quanto sta accadendo nelle borse europee: se gli stress-test hanno mostrato formalmente un sistema bancario solido, perché mai i mercati starebbero reagendo così male e verso tutto il comparto?

 

 

 

Crisi banche, confusione anche normativa

La BCE è anche quell’istituto, che dal prossimo board di settembre potrebbe abbassare ulteriormente i tassi overnight, già negativi dello 0,4%, con l’obiettivo dichiarato di accelerare la crescita dei prezzi al target di quasi il 2% nell’Eurozona.

Ma queste politiche contribuiscono alla riduzione dei margini bancari, ampliando in questa fase le difficoltà degli istituti nel mostrarsi adeguatamente redditizi.

A tutto ciò si aggiunge la confusione normativa generatasi con l’introduzione del bail-in, che da quest’anno avrebbe dovuto evitare che le perdite delle banche in risoluzione ricadessero sui contribuenti, mentre tra Bruxelles e Roma vi è in corso da mesi un negoziato per verificare se sia possibile uno scenario meno rigido, che consenta un salvataggio pubblico, senza infliggere perdite agli obbligazionisti subordinati.

Super Mario non c’è più

Parliamoci chiaro, i nodi di una costruzione raffazzonata dell’Eurozona stanno arrivando tutti al pettine. Qualcuno si illudeva ancora di contrastare la speculazione con espediente tragicomici, come stress-test fatti a maglie. E’ un brutto colpo per Draghi, che in appena 12 mesi ha dovuto potenziare due volte il “quantitative easing”, annunciando all’ultima riunione del board a luglio di essere pronto a nuovi stimoli.

Quello che un tempo era definito “super Mario” (vi ricordate il “whatever it takes” di 4 anni fa?) per le sue qualità quasi taumaturgiche nei confronti del mercato, adesso sta perdendo di confidenza con gli investitori e, soprattutto, non incanta più sul fronte della politica monetaria, così come gli altri governatori centrali del resto. Da questa settimana, sappiamo che non è in grado di rassicurare nemmeno sulla tenuta del sistema bancario europeo.