Lo scandalo “Panama Papers” sta scuotendo l’opinione pubblica mondiale, dopo che sono stati resi noti da una fonte anonima 11,5 milioni di documenti riservati, facenti capo a Mossack Fonseca, la società legale con sede nel paese sudamericano. Le carte sono state inviate al quotidiano tedesco Sueddeutsche Zeitung un anno fa, che oggi ha deciso di pubblicarle, avvalendosi di una serie di partner stranieri, tra cui il Gruppo L’Espresso per l’Italia. Una settantina tra vecchi e attuali capi di stato e di governo risulta implicata nella vicenda, che rischia di provocare tensioni politiche all’interno di diversi paesi.

Tra i nomi spiccano quelli del premier britannico David Cameron, del presidente russo Vladimir Putin, del premier islandese David Gunnlaugsson. Il presidente russo non compare direttamente nelle carte, ma tramite ipotetici prestanome, come il musicista Sergei Roldugin, padrino di una delle figlie del primo, e Yuri Kovalciuk, considerato il banchiere del Cremlino. A loro fa capo un patrimonio accumulato ed esportato in Panama di 2 miliardi di dollari.

Panama garantisce ancora segreto bancario e non solo

L’Australia è il primo paese ad avere avviato indagini a carico di 800 personalità inserite nella lunga lista dei presunti evasori fiscali. Ma di cosa stiamo parlando concretamente? Dovete sapere che il Panama è uno degli ultimi “paradisi fiscali” rimasti sulla Terra, non avendo aderito allo scambio automatico delle informazioni sul piano internazionale, se non relativamente ai presunti traffici di droga. Nel paese passerebbero fiumi di miliardi di dollari, frutto proprio del narcotraffico in stati come il Messico e il Venezuela, oltre che di evasione fiscale.      

Come evadere le tasse in Panama

In Panama risultano registrate ben 350.000 società straniere, grazie alla massima riservatezza garantita agli investitori e alle tutele legali contro eventuali ingerenze della magistratura di altri stati. Per non parlare della totale esenzione fiscale per i redditi prodotti all’estero.

Aprire una società nel paese sudamericano è semplice: basta pagare meno di 2.000 dollari, tra tasse e remunerazioni da erogare ai professionisti, che formalmente siederanno nel cda in rappresentanza degli effettivi proprietari, i cui nomi non vengono pubblicizzati. Dunque, l’anonimato è garantito. Non solo, le azioni sono al portatore, nel senso che i titoli sono considerati di proprietà di chi li possiede, contrariamente a quanto avviene nel resto del pianeta, dove sono nominativi e, quindi, si conosce chi li detiene.

Riciclaggio denaro è semplice

Riciclare denaro diventa per ciò stesso semplice, in quanto basta vendere a terzi le proprie azioni, ricevendo in cambio denaro, senza che sia mai stata ufficializzata la proprietà di parte di una delle società con sede nel paese. Dopo forti pressioni internazionali, il Panama ha deciso di obbligare gli azionisti a tenere i titoli depositati in banca, anche se le imprese aperte prima del 2013 hanno tempo fino al 2018 per adeguarsi alla normativa e, in ogni caso, l’anonimato resta garantito. Nel caso, poi, qualche giudice straniero aprisse un’indagine a carico di un qualche investitore presente nel paese, la giustizia panamense prevede che l’indagato debba essere avvisato della procedura nei suoi confronti entro 60 giorni, più altri 10 giorni di tempo supplementare.      

Non solo Panama sotto pressione

Ora, il fatto che un paese garantisca un trattamento fiscale privilegiato o una stretta riservatezza sugli affari intrattenuti dagli investitori sul suo territorio non può essere considerato in sé uno scandalo. Chi potrebbe imporre a uno stato sovrano di far pagare alle società straniere una certa percentuale minima di tasse? Con quale diritto si potrebbe intervenire in casa d’altri sui temi fiscali? Si pensi alle pressioni subite dall’Irlanda dalla UE in questi anni per allineare il suo carico fiscale sulle imprese. Dublino ha opposta una strenua resistenza e come risultato è non solo tornata a crescere, ma si trova in un vero boom economico, tanto da essere cresciuta nel 2015 di quasi l’8%, percentuali sconosciute alle altre economie avanzate.

Stesse pressioni si hanno nei confronti della Svizzera, che ultimamente è stata costretta a fare cadere gradualmente e in parte il suo storico segreto bancario, dopo che le sue banche sono state oggetto di maxi-multe da parte delle autorità straniere, USA in testa, accusate di avere agevolato l’evasione fiscale dei rispettivi cittadini e imprese, loro clienti.

Esiste il diritto al paradiso fiscale?

E’ evidente che non esista il diritto al malaffare, al riciclaggio di denaro sporco e frutto di traffici di droga, armi, terrorismo, prostituzione, etc. Fatto salvo ciò, ci chiediamo: esiste il diritto di esportare denaro in un paese con una fiscalità di vantaggio o dove le tasse non esistono? Esiste il diritto per l’essere umano di ritagliarsi uno spazio minuscolo su questa Terra, dove sfuggire alla fame di soldi degli stati? Le risposte a questi quesiti sono molto meno scontate di quanto non appaia. Il clamore suscitato dai vari scandali attorno ai vip e ai grandi del pianeta, che nascondono le loro fortune in capitali esotiche serve spesso a coprire una tendenza sempre più soffocante dei governi delle economie avanzate a tassare ogni forma di produzione e di detenzione della ricchezza, additando alla pubblica opinione come esempio del male i conti a diversi zero di illustri concittadini, accesi in un paradiso fiscale in barba alle leggi nazionali. Volete vedere che il polverone sollevato nelle scorse ore servirà a qualcuno per chiedere l’eliminazione del contante?