Nel mese di novembre, le rimesse degli emigranti negli USA verso il Messico sono aumentate del 25% annuo, salendo a 2,4 miliardi e portando a 27 miliardi l’importo complessivamente trasferito nel 2016, in crescita di oltre 2 miliardi dai 24,8 miliardi dell’anno precedente. Secondo gli analisti, si tratta di un effetto tipicamente legato alle elezioni USA e, in particolare, all’elezione di Donald Trump, che in campagna elettorale ha promesso misure punitive contro il Messico. In particolare, il presidente eletto ha tra i punti del programma la costruzione di un muro lungo il confine tra i due paesi, al fine di impedire l’arrivo negli USA di nuovi clandestini.

Il costo di tale opera sarebbe addossato, spiega, al governo messicano. Se non pagasse, le rimesse degli emigranti, spiega, saranno bloccate.

Il governatore della banca centrale messicana, Agustin Carstens, mette in relazione il boom delle rimesse nelle ultime settimane al deprezzamento del cambio tra peso e dollaro, alla creazione di maggiori posti di lavoro negli USA e alle preoccupazioni degli emigranti per i rapporti tra USA e Messico sotto Trump. (Leggi anche: Investire in Messico ai tempi di Trump? Possibile scommessa vincente)

Economia messicana molto dipendente dagli USA

Le rimesse degli emigranti sono diventate la prima voce di entrate per l’economia messicana, superando persino quella del petrolio. Il peso ha perso l’11% dalle elezioni USA, attestandosi a un cambio di 20,5 contro il dollaro e mostrando un crollo del 40% negli ultimi tre anni. (Leggi anche: Il peso messicano ci parla di Trump)

Il Messico ha negli USA il principale mercato di sbocco delle sue merci, assorbendone per i tre quarti. Il surplus commerciale vantato dal paese è di 60 miliardi all’anno, mentre oltre la metà dei 30 miliardi di investimenti diretti esteri arrivano sempre dagli USA.

 

 

 

 

Messico in stagflazione

Trump ha minacciato ieri la General Motors di imporre dazi contro le sue auto, qualora spostasse nel Messico la produzione delle sue Chevy Cruze, segno che intenderebbe realmente rimettere in discussione il NAFTA, l’accordo di libero scambio del Nord America.

Sarebbe un grave danno per l’economia messicana, legata fin troppo a quella americana.

Per quest’anno, il pil dovrebbe crescere di appena l’1,7% nel paese latino, il ritmo più basso dal 2013, confermando una crescita media nell’ultimo lustro di meno del 2%, la metà del triennio precedente. Il rallentamento sta avvenendo in contemporanea all’accelerazione dell’inflazione sopra il target massimo del 4% fissato dalla banca centrale, cosa che dovrebbe spingere quest’ultima ad alzare i tassi reali ai livelli più alti dal 2008. (Leggi anche: Commercio mondiale, crescita rallenta e rischio protezionismo avanza)

Sarà un 2017 complicato per i messicani

Crescita del pil lenta, inflazione alta e tassi in aumento non sono un mix positivo per l’economia messicana, che sembra costretta a prendere atto dell’eccessiva dipendenza dagli USA. Il 2017 potrebbe caratterizzarsi per un’eccessiva concentrazione a Città del Messico sulle politiche di Trump, anche se non è detto che si concretizzi lo scenario più temuto per l’economia nazionale. (Leggi anche: Messico vende bond in yen per sostenere il bilancio statale)

Il muro non ci sarà o sarà solo un rimaneggiamento di quello in parte costruito già alla frontiera tra i due paesi, mentre il NAFTA difficilmente potrebbe essere messo in discussione integralmente. In ogni caso, i rapporti tra le capitali saranno più tesi e il presidente Trump potrebbe adottare azioni di “moral suasion” per convincere le imprese americane a non delocalizzare la produzione, come sta facendo dall’elezione ad oggi a colpi di tweets.