L’amministrazione Trump è stata al centro delle cronache europee degli ultimi giorni, dopo la rivelazione del Wall Street Journal, secondo la quale essa avrebbe in mente di porre nel mirino una novantina di prodotti made in Europe, contro i quali verrebbero innalzati dazi al 100% del loro prezzo d’importazione negli USA. Si tratterebbe di una ritorsione di Washington per la bocciatura da parte della Commissione europea delle importazioni di carni bovine americane, allevate con OGM. Nell’elenco dei prodotti su cui Trump imporre i super-dazi rientrerebbero anche alcune icone del made in Italy, come cibi, bevande e persino la Vespa della Piaggio.

Se dalle intenzioni passasse ai fatti, gli USA scatenerebbero una guerra commerciale con la UE, ma non solo.

Quello che la stampa mainstream così critica verso il presidente Donald Trump non vi ha spiegato è che quella lista non è stata stilata dall’attuale inquilino della Casa Bianca, bensì dal predecessore. Già, perché come ha riportato un raro, quanto estremamente utile articolo de Il Foglio, a firma di Mario Sechi, non da oggi giornalista fuori dal coro, la lista fu preparata il giorno di Santo Stefano, il 26 dicembre scorso, dallo staff dell’allora presidente Obama. Il Sechi ci dice ancora di più: sarebbe solamente un aggiornamento di un elenco di prodotto a tassazione separata, che fu introdotto per la prima volta nel 1999 sotto la presidenza Clinton e che è rimasto in vigore fino al 2011, passando per George W.Bush e finendo, appunto, con Barack Obama. (Leggi anche: Dazi USA contro la Germania, Trump minaccia ritorsioni sull’euro debole)

Nessuna vera novità sui dazi USA contro prodotti UE

In un estratto pubblicato dal quotidiano italiano, troviamo che rientrano nella lista prodotti come “carne bovina fresca o refrigerata”, “carne bovina congelata”, “lingue di carne bovina congelata”, ” fegato di carne bovina congelata”, etc.

Dunque, non saremmo dinnanzi a un cambio di policy commerciale degli USA, bensì a un ordinario rodaggio di un atto in vigore sin dalla fine degli anni Novanta.

Ma i media, si sa, diventano particolarmente sensibili verso Trump, ignorando persino la storia recente e l’oggettività dei fatti. (Leggi anche: Guerra commerciale ereditata da Trump)

UE ipocrita su commercio mondiale

Che tra USA e UE possa scatenarsi una guerra commerciale è possibile, per quanto poco probabile. Trump è un istrione, che utilizza le minacce verbali per spuntare condizioni migliori nei negoziati con gli alleati. E così, annuncia possibili dazi del 35% contro le importazioni dal Messico, del 45% su quelle dalla Cina e ora del 100% contro alcuni prodotti europei. Nulla di tutto questo verosimilmente accadrà, ma da imprenditore è abituato a contrattare anche con le cattive, come avviene regolarmente nel mondo degli affari, specie quelli che contano.

A Trump viene addebitata la fine del TTIP, l’accordo di libero scambio USA-UE, che avrebbe dovuto essere firmato entro lo scorso anno, ma che fu “ucciso” non dall’amministrazione americana di Obama, bensì – audite, audite – proprio dalla UE, che su pressioni di Francia e Germania (sì, i paladini del libero mercato a giorni alterni) ha dovuto alzare bandiera bianca, dopo tre anni e mezzo di trattative. (Leggi anche: TTIP fallito, accordo non s’ha da fare per la Germania)

Obama eresse dazi contro acciaio italiano

Certo, va riconosciuto che il predecessore di Trump abbia assecondato l’accordo più di quanto non dimostri di fare l’attuale presidente, che segnala tutte altre intenzioni, ma in ogni caso è stata Bruxelles a porre fine al TTIP, giusta o sbagliata che sia stata la decisione.

E ancora: Trump viene accusato di attentare alla libera circolazione delle merci europee e straniere, in generale, negli USA, ma stiamo dimenticando che sin dal dicembre del 2015, l’amministrazione Obama ha posto nel mirino l’acciaio cinese con dazi del 256% (sic!) e colpendo con una tariffa del 3,1% anche quello italiano prodotto dall’italiana Marcegaglia S.

p.A., in quanto sussidiato da aiuti di stato. (Leggi anche: Guerra commerciale, dazi USA contro acciaio cinese)

La minaccia al commercio mondiale viene dalle banche centrali

Non è finita: le accuse contro Cina e Germania di manipolare i tassi di cambio sono certamente state incrementate anche nei toni dall’attuale presidente, ma è sin dall’amministrazione Bush nel 2005 che Pechino si trova nel banco degli imputati per Washington e già da un paio di anni il Tesoro USA, nella relazione semestrale sui cambi, valuta l’euro debole per la Germania, inserendo quest’ultima tra i “manipolatori delle valute”.

La temuta guerra commerciale ha radici ben più lontane di quelle che si vorrebbe fare credere per ragioni di comodo. Tutte le parti in causa hanno la coda bagnata, compresi gli USA, che hanno dato il via a politiche di accomodamento monetario così estreme, da essersi ritorte contro di loro, una volta che sono state imitate un po’ da tutto il resto del mondo avanzato, oltre che dalla Cina.

Trump non è un alieno, è stato mandato dove oggi si trova dagli elettori americani, proprio in difesa degli interessi nazionali, avendo questi percepito come tutte le principali economie stiano adottando misure protezionistiche velate da altri scopi (lotta all’inflazione, alla disoccupazione, tutela dei consumatori, dell’ambiente, etc.). I dazi sono l’altra faccia delle barriere non tariffarie erette dall’Europa contro le merci prodotte al di fuori di esse. Piaccia o meno, l’Europa si fa interprete ipocrita del libero commercio, dopo averlo osteggiato per anni, chiudendo a ogni accordo di rilievo con gli USA per ragioni di consenso spicciolo nelle sue principali economie: Francia e Germania. (Leggi anche: Commercio mondiale, timore resta la guerra valutaria)