A ogni appuntamento elettorale, sia esso in Europa o negli USA, il tema della crescente diseguaglianza sociale percepita s’impone nel dibattito politico. Non sono in pochi tra gli analisti a vedere in essa la ragione principale del voto dei britannici per la Brexit il 23 giugno scorso. Ovunque si voti, sembra che i cittadini si stiano rivoltando contro le loro élites. Sono molteplici le cause di questa ribellione contro il sistema e molto dipende da paese a paese. Tuttavia, è innegabile che una delle molle principali del voto protestatario sia la percezione diffusa di una società, dove le diseguaglianze sociali sono crescenti e senza che alla base di questo fenomeno vi sarebbe il merito.

Che la crisi finanziaria ed economica di questi ultimi anni sia stata determinante per l’accentuazione di questa percezione è evidente, anche perché la risposta delle principali banche centrali è andata esattamente nella direzione di accrescere le diseguaglianze sociali. Come? Vediamolo.

Denaro facile con crisi

Per evitare l’implosione del credito e lo scivolamento delle economie verso una depressione in stile 1929, le principali banche centrali del pianeta (Federal Reserve, BCE, Bank of Japan, Bank of England, SNB, Riksbank, etc.) si sono coordinate e hanno dato vita a una politica monetaria ultra-espansiva, che non ha precedenti nella storia.

Oltre ad azzerare i rispettivi tassi, gli istituti hanno anche varato misure non convenzionali, sconfinando in quelle “unchartered waters”, in acque inesplorate, le cui conseguenze non sono del tutto avvertibili nemmeno oggi, a distanza di qualche anno dalla loro adozione. La Fed, seguita successivamente dalle altre, ha iniziato ad acquistare titoli del Tesoro USA e bond privati garantiti da immobili, quintuplicando il proprio bilancio a oltre 4.000 miliardi di dollari. La BCE ha fatto anche di meglio, inserendo tra gli acquisti persino le obbligazioni private dallo scorso giugno e facendo scendere in territorio negativo i rendimenti di circa un terzo del debito sovrano quotato nell’Eurozona.

 

 

Redistribuzione ricchezza in favore di pochi

Cosa implicano queste misure così estreme? Come sappiamo, chi riesce a impossessarsi per primo della moneta è il vero vincitore del gioco. Questi, infatti, riesce a utilizzarla, quando i prezzi sono ancora bassi, mentre chi la deterrà dopo l’avrà ottenuta a prezzi più alti. Per essere chiari, i primi utilizzatori riescono ad arricchirsi, mentre gli utilizzatori finali della moneta sono i perdenti del gioco, in quanto subiscono gli effetti negativi dell’aumento dei prezzi.

Con il varo degli stimoli eccezionali di questi anni, ad essere entrati inizialmente in possesso della moneta “fresca” messa a disposizione dalle banche centrali sono stati i governi e la grande finanza. I primi hanno beneficiato dell’azzeramento dei tassi, potendo emettere nuovo debito a costi quasi nulli; la seconda ha potuto acquistare a costo zero o persino negativo immense scorte di liquidità. da impiegare sui mercati per investire in azioni, obbligazioni, titoli di stato, i cui prezzi sono letteralmente esplosi in poco tempo.

Prestiti banche ai soliti noti

Certo, si dirà che i contribuenti abbiano potuto beneficiare indirettamente da queste politiche, sborsando di meno per il rifinanziamento del debito pubblico, così come famiglie e imprese avrebbero ottenuto così un maggiore credito e a interessi più bassi. Ma siamo sicuri che le cose siano andate in questo modo?

Come dimostrerebbero anche i dati relativi al mercato del credito, specie nell’Eurozona, ad avere usufruito maggiormente del denaro a basso costo sono state, in particolare, le famiglie più benestanti e le imprese più solide e grandi. Queste sono le sole in grado di esibire alla banca garanzie sufficienti per ottenere finanziamenti, magari in forma di immobili o di collaterale, mentre il resto della platea (famiglie della classe media, piccole e medie imprese) non hanno tale possibilità.

Pertanto, gli stimoli monetari si sarebbero tradotti in un afflusso di maggiori risorse in favore di chi era già relativamente più benestante, che avrebbe così migliorato ulteriormente la propria condizione finanziaria rispetto alle altre famiglie e imprese.

 

Pochi investitori si arricchiscono, risparmiatori languono

Né tale denaro a bassissimo costo è stato per lo più impiegato a fini produttivi, essendo stato ad oggi conveniente investirlo sui mercati finanziari per ottenere laute plusvalenze in poco o pochissimo tempo. Chi ha avuto la possibilità di prendere in prestito grosse somme a interessi ridicoli, ha potuto, quindi, farle fruttare con l’acquisto di titoli, arricchendosi. Per le famiglie più povere o anche della classe media, così come per le piccole e medie imprese, non è cambiato quasi nulla.

Anzi, chi oggi risparmia viene sonoramente punito, non potendo spuntare alla banca o al mercato alcun rendimento, se non spostandosi verso assets sempre più rischiosi.

Capitalismo finito

Dunque, gli stimoli delle banche centrali stanno accrescendo le diseguaglianze sociali, senza che queste riflettano un maggiore apporto alla produzione da parte di chi si stia arricchendo. E’ la morte del capitalismo e il ritorno quasi a un feudalesimo “finanziario”, dove non già il merito, ma l’appartenenza a una classe sociale sarebbe in sé il fattore principale di redistribuzione della ricchezza.

Le conseguenze di questa follia propinata dai governi e dai banchieri centrali si stanno materializzando in una crisi politica profonda e in una delegittimazione crescente delle istituzioni.