A tre mesi dalla morte del lider maximo, Cuba resta in cerca di una nuova identità, dopo che nell’ultimo decennio si è timidamente aperta all’economia di mercato, ma senza i progressi necessari per ottenere i benefici desiderati. E i risultati sono stati scarsi, per non dire quasi fallimentari: tra il 2008 e il 2016, la crescita media del pil è stata del 2,3%, ma lo scorso anno ha registrato una contrazione dello 0,9%, nonostante il presidente Raul Castro avesse promesso un roboante 5%, obiettivo successivamente abbassato al +4,4%.

Le prospettive per quest’anno non appaiono confortanti. Il pil è stimato ufficialmente in aumento del 2%, ma l’economista Pavel Vidal ritiene che continuerà a contrarsi tra il -1,4% e il -0,3%. (Leggi anche: Recessione economica a Cuba, nonostante la fine dell’embargo USA)

Nel 2016, L’Avana ha pagato debiti in valuta straniera per 5,2 miliardi, anche se ha mancato scadenze a breve termine per quasi 800 milioni, necessitando di una ristrutturazione del debito. Uno dei problemi dell’economia cubana è lo scarso afflusso di capitali stranieri, che rendono difficile sia sostenere il debito estero, sia effettuare le necessarie importazioni di beni e servizi.

Turisti a Cuba aumentano, ma non bastano

Nonostante il boom del turismo, conseguente alla fine dell’embargo decisa dall’amministrazione Obama nel 2015 e che consente oggi ai cittadini americani di fare visita all’isola, nel primo semestre dello scorso anno, le entrate derivanti dal settore sono state appena 1,2 miliardi e nei dodici mesi si stima che non avranno ammontato a più di 3 miliardi, lo stesso gettito derivante dalle rimesse degli emigranti cubani.

Qualche segnale di speranza lo offrono i dati di gennaio, mese in cui il numero di turisti americani a Cuba è esploso del 125% annuo a 43.200 unità. Nel 2016, tra turisti e cubani in visita presso le famiglie d’origine, gli ingressi sono stati pari a 614.433 unità, pur in crescita del 34%.

(Leggi anche: Economia cubana, la morte di Fidel Castro avrà conseguenze?)

Economia cubana e crisi del Venezuela

E pesa su L’Avana il collasso economico del Venezuela, partner commerciale strategico, oltre che fido alleato nell’ambito del socialismo rivoluzionario. Caracas ha inviato l’anno scorso la media di 55.000 barili al giorno di petrolio sull’isola, il 40% rispetto a un paio di anni prima. Greggio offerto a condizioni di gran lunga di favore, ma che il paese andino sempre meno può permettersi.

A fronte di minore petrolio importato, non solo cresce il costo della bolletta energetica cubana, ma affluiscono anche minori entrate di dollari, dato che l’isola inviava nel Venezuela medici e servizi sanitari, oltre che militari, per prestazioni stimate in 1,3 miliardi di dollari. (Leggi anche: Il Venezuela dimezza gli aiuti a Cuba)

Importazioni difficili a Cuba

Il turismo resta la speranza del popolo cubano, che può oggi arrivare a guadagnare 40 dollari o più in un solo giorno, quando altrimenti un medico o un professore dovrebbe impiegare un mese per portare a casa la stessa cifra, alle dipendenze dello stato.

Le scarse entrate di dollari stanno rendendo difficoltosa la produzione nazionale, perché non ci sono soldi per la semina e per acquistare i trattori, con il risultato che gli agricoltori non riescono più nemmeno a coltivare le loro terre. Lo scenario è inquietante, perché ricorda quanto sta avvenendo in Venezuela, dove sono emerse scene di fame nel senso letterale del termine, per l’impossibilità di importare e produrre alcunché. (Leggi anche: Disgelo tra USA e Cuba ha una causa ben precisa: la crisi del Venezuela)

Rischio di recessione in stile anni Novanta

E Cuba ha una storia recente simile. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, che finanziava l’isola, l’economia subì un colpo durissimo, tanto che si arrivò a blackout frequenti e a mangiare persino i gatti trovati in strada, in assenza di alternative.

In questo panorama desolante, una delle rare soddisfazioni le sta offrendo un prezioso prodotto di quest’isola: i sigari. Habanos, che produce marchi come Monte Cristo, Romeo e Giulietta e Cohiba, ha fatturato all’estero nel 2016 il 5% in più dell’anno precedente, ovvero 445 milioni di dollari, mentre sul mercato domestico ha segnato un +13%.

Incertezze legate anche alla politica di Trump

L’amministrazione Obama ha rimosso l’embargo sulle importazioni di sigari cubani, anche se ne è vietata la vendita sul territorio USA, per cui possono entrarvi solo come acquisti personali da parte dei turisti o degli esuli cubani. Sotto l’amministrazione Trump, tali restrizioni potrebbero non essere rimosse e, anzi, si potrebbe andare nella direzione opposta di inasprirle, dato che il presidente ha fatto presente di non gradire il disgelo perseguito dal predecessore, puntando alla caduta del regime castrista, giudicato contrario ai diritti umani.

Il futuro dell’isola resta più incerto che mai, in una fase di transizione verso una nuova leadership, con riforme economiche solo avviate e non completate, con relazioni diplomatiche appena riallacciate con il potente vicino e già in discussione, mentre il più prezioso alleato, il Venezuela, sprofonda sempre più nel baratro della miseria. (Leggi anche: Cuba apre agli investimenti stranieri per slegarsi dal Venezuela?)