Dopo Lufthansa, anche la maggiore compagnia aerea dell’America Latina, la Latam, ha annunciato che sospenderà temporaneamente i voli da e per il Venezuela, iniziando dalla rotta Caracas-San Paolo ed entro la fine di luglio sopprimendo anche quelle per Santiago e Lima.

Alla base dello stop ai voli c’è la crescente difficoltà per le compagnie aeree di tramutare i ricavi prodotti nel paese in valuta straniera. In sostanza, una volta incassati i bolivar dalla vendita dei biglietti aerei, esse non sono più in grado di convertirli nelle divise dei paesi di origine, come dollari, euro, etc.

, a causa degli stringenti controlli sul mercato dei cambi.

Inflazione Venezuela e crollo offerta causano carenza beni

Sin dal 2003, il Venezuela ha introdotto un sistema di cambio fisso con il dollaro e controlli per contenere i prezzi di centinaia di beni primari. Il combinato tra le due misure ha determinato una carenza di valuta straniera a disposizione per le importazioni di beni e servizi e il crollo della produzione interna, a causa dell’impossibilità per le imprese di sostenere l’aumento vertiginoso dei costi, tenuto anche conto che attualmente l’inflazione viaggerebbe verso il 700%, stando alle ultime stime del Fondo Monetario Internazionale.

Il dato di fatto è che il Venezuela è sempre più isolato nel senso letterale del termine, visto che da almeno un paio di anni le compagnie aeree hanno sospeso del tutto o ridotto considerevolmente il numero dei voli da e verso il paese. Ricordiamo che nei giorni scorsi, la Coca Cola ha annunciato l’interruzione della produzione in loco per mancanza di zucchero, mentre anche Brigdestone ha fermato gli impianti dopo 60 anni.

 

 

 

Crisi bolivar: -60% in 3 mesi

E pensare che non più tardi di 3 mesi fa, il governo di Nicolas Maduro ha introdotto il Dicom, un nuovo sistema di cambio complementare a quello ufficiale di 10:1 contro il dollaro.

Al Dicom, che si fatto ha soppiantato il Simadi, viene dedicato, però, appena l’8% dei dollari detenuti dalla banca centrale, mentre il restante 92% è utilizzato ancora tramite un irrealistico cambio di 100 volte più alto di quello vigente al mercato nero, dove un dollaro compra 1.000 bolivar.

Considerando che il cambio ufficiale viene utilizzato solo per importare cibo e medicine, si capisce perché nel paese manchi di tutto. In teoria, il Dicom sarebbe dovuto servire proprio per fare fluire più valuta straniera nel paese, attraverso un cambio a metà strada tra quello ufficiale e quello parallelo del mercato nero. Tre mesi fa, quando fu istituito, esso prevedeva per ogni dollaro 203 bolivar, mentre oggi è arrivato già a 512, segnalando un crollo del 60%.

Carenza beni resta altissima

Peccato che da questa nuova piattaforma continuino a transitare pochi dollari, nonostante rappresenti una forma di avvicinamento del governo alla realtà. Eppure, qualche effetto visibilmente positivo si è avuto al mercato nero, dove due mesi fa un dollaro acquistava 1.200 bolivar, mentre in queste ore si è scesi appena sotto i 1.000, segno che si allenterebbe la domanda di dollari nei canali illegali, grazie alla possibilità (ancora minima) di effettuare gli scambi in via del tutto legale presso il Dicom.

Serve un nuovo passo in avanti, ovvero che il governo assegni a quest’ultimo maggiori quantità di valuta straniera da scambiare contro i bolivar, altrimenti la carenza di beni e servizi resterà ai livelli drammatici di queste settimane.

 

 

 

Oro Venezuela venduto a livelli record da inizio anno

La banca centrale ha ormai solamente 12 miliardi di dollari nelle sue riserve valutarie, di cui i due terzi in oro. Ciò implica che i dollari effettivamente disponibili non supererebbero i 4 miliardi, da qui si comprende la portata tragica di quanto stia accadendo nel paese.

Nel primo trimestre del 2016, il Venezuela ha ridotto le sue riserve auree del 16% dopo il 24% già intaccato nel 2015, vendendo ben 1,38 milioni di once, il dato più alto dopo quello della SNB svizzera del terzo trimestre 2007.

Caracas ha esportato verso la Svizzera 60 tonnellate di oro nei primi 3 mesi dell’anno, oltre alle 12 tonnellate di aprile. Immaginando un prezzo medio di vendita intorno ai 1.200 dollari l’oncia, il Venezuela avrebbe incassato al 31 marzo circa 1,5 miliardi, liquidità preziosa, che quasi certamente sarà utilizzata non per aumentare le importazioni, bensì per onorare il debito in scadenza e pari a complessivi 10 miliardi in tutto il 2016.