Il rischio di applicazione del bail-in per MPS è più salto che in passato e potrebbe diventare reale nel caso di fallimento dell’aumento di capitale e della complessa operazione di cessione delle sofferenze. Lo avverte il vice-presidente e senior analyst dell’agenzia di rating, Moody’s, Carlo Gori, che precisa, però, come questo non sia lo scenario di base atteso dal suo istituto.

Secondo il manager, il successo del salvataggio di MPS ad opera del mercato dipende anche dal clima scaturente dall’esito del referendum, per il quale una vittoria del “no” potrebbe ridurre la fiducia degli investitori e rendere più difficili gli aumenti per banche come MPS, ma anche Carige, Veneto Banca e Popolare di Vicenza.

Ma niente automatismi, chiarisce, perché l’esito del referendum s’inserirà in un più ampio punto di analisi, all’interno di una situazione più complessa. (Leggi anche: Piano MPS, pasticcio legato a referendum)

Rischio bail-in c’è, ma politicamente non percorribile

Gori riconosce, però, che l’applicazione del bail-in in Italia sarebbe “politicamente molto difficile”, data l’ampia diffusione dei bond subordinati tra il canale retail, mentre più facile sarebbe la sua adozione, se tali strumenti fossero nelle mani degli investitori istituzionali. Per questo, l’analista di Moody’s prevede, che nel caso vi fosse bisogno, lo stato italiano interverrebbe per un’applicazione meno ortodossa della nuova disciplina sui salvataggi bancari.

A potere alleviare l’onere della ricapitalizzazione vi è l’ipotesi – ormai nota da diverse settimane e che è presente sia nel piano di JP Morga, sia in quello presentato dall’ex ministro Corrado Passera – di conversione delle obbligazioni subordinate MPS, il cui valore nominale complessivo è oggi di 3 miliardi, considerando che 4 delle 8 emissioni siano arrivate già a scadenza. (Leggi anche: Crisi MPS, aumento a rischio e bail-in si avvicina)

 

 

 

Ipotesi conversione obbligazioni MPS

I due terzi di questi bond sono nelle mani di investitori istituzionali, ma il caso più problematico riguarda il titolo con scadenza 15 maggio 2018, piazzato a un taglio minimo di 1.000 euro, alla portata di tutte le tasche.

Sono decine di migliaia di piccoli risparmiatori ad averlo comprato. Questo bond fa la parte del leone con un controvalore nominale di 2,16 miliardi.

Ipotizzando che tutti gli investitori istituzionali accettino la conversione dei bond e che nessuno del canale retail venga coinvolto o aderisca, dovremmo supporre che l’aumento di capitale cash di MPS scenda fino a 3 miliardi di euro. Tuttavia, affinché la banca riesca a trasformare debito in equity, sarà necessario offrire all’obbligazionista condizioni migliori di quelle ad oggi vigenti sul mercato. Mediamente, i quattro suddetti titoli quotano a circa i due terzi del valore, quindi, Siena dovrebbe offrire agli investitori tra i due terzi e il 100% per allettare le conversioni. (Leggi anche: Crisi MPS, bail-in mascherato è rischio contagio verso banche italiane)

I numeri del salvataggio appaiono grandi

Un’operazione alternativa potrebbe consistere nel rastrellare sul mercato tutte le obbligazioni agli attuali prezzi e risparmiare così dalla differenza di circa un miliardo di euro tra questi e il valore nominale (100%) promesso alla scadenza. Tuttavia, per farlo servono liquidità da parte dell’istituto o l’aiuto di investitori esterni come JP Morgan, nonché la volontà del mercato di vendere, cosa che molte famiglie, in particolare, non farebbero, subendo altrimenti una perdita, avendo comprato i titoli alla pari.

In definitiva, comunque la si giri, i marchingegni finanziari escogitabili per addolcire la pillola di un aumento dal valore decuplicato rispetto a quello di capitalizzazione della banca in borsa non saranno sufficienti ad ovviare al problema delle dimensioni delle richieste al mercato. Serve una massiccia dose di fiducia e di ottimismo per investire in MPS alle condizioni date.

Quella che sembra mancare di giorno in giorno. (Leggi anche: Salvataggio MPS, ecco i numeri che non convincono)