La proposta lanciata dal presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, di pubblicare i nomi dei primi 100 debitori insolventi delle banche sottoposte a operazioni di salvataggio pubblico ha riscosso parecchi consensi nel mondo politico e della stampa, perché è stata considerata una svolta nel senso di una maggiore trasparenza in favore dell’opinione pubblica, che si accerterebbe così dei responsabili del cattivo stato di salute finanziaria degli istituti in crisi.

In effetti, sappiamo che MPS detiene crediti deteriorati lordi per il 40% della massa dei prestiti erogati e che proprio il “buco” nel capitale derivante dalla loro futura cessione a prezzi inferiori a quelli registrati a bilancio sta già provocando un fabbisogno stimato in 8,8 miliardi, che non essendo reperibili sul mercato, ha fatto scattare la necessità di un intervento pubblico.

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I debitori insolventi sono già noti

Tuttavia, esistono un paio di cose da eccepire sul tema. Anzitutto, la privacy oggi tutela i nomi dei debitori, ma non tutti: le persone giuridiche, ovvero le società di capitali, sono escluse da tale protezione, per cui si conoscono già i nomi di quanti tra di loro hanno attinto a piene mani da Siena, così come dagli altri istituti, e non hanno restituito il denaro in tutto o in parte. Tant’è che qualche settimana fa vi abbiamo informati che tra questi debitori insolventi vi sono personalità eccellenti del panorama industriale-finanziario italiano, come la famiglia De Benedetti, che ha trasformati in azioni il suo debito da 600 milioni, legato alla società termoelettrica Sorgenia.

Pubblicare i nomi dei primi 100 debitori insolventi, quindi, non sarebbe in sé un passo in avanti nella direzione di una maggiore trasparenza, perché già oggi sappiamo chi sono. Ed è difficile immaginare che tra queste maggiori esposizioni troveremmo anche persone fisiche, ovvero semplici famiglie o piccoli imprenditori e quand’anche ve ne fossero, non sono state certo esse ad avere mandato in malora il sistema bancario italiano, come spiegano i grandi numeri.

(Leggi anche: Sofferenze bancarie, ecco chi e dove sono i cattivi pagatori)

 

 

 

 

Assolvere i banchieri e incolpare solo i debitori

L’80% delle sofferenze lorde italiane, ovvero dei crediti quasi perduti, è concentrato nelle mani del primo 10% dei clienti delle banche, ovvero di chi ha ricevuto di più. Nel caso di MPS, il 70% delle insolvenze è relativo a 9.300 prestiti di importo superiore a 500.000 euro. In altre parole, sono le società di maggiori dimensioni ad avere provocato il quasi crac di Siena.

E allora Patuelli ha preso un abbaglio? Non di certo. In qualità di rappresentante delle banche, è suo dovere tutelarne anche gli amministratori, i banchieri. E la proposta di pubblicare la lista dei primi 100 debitori insolventi di ogni banca sottoposta a salvataggio pubblico avrebbe una doppia finalità: attirare l’attenzione dei media e la rabbia popolare su chi non ha restituito il denaro agli istituti di credito e allontanare le nubi sull’operato dei banchieri. (Leggi anche: Salvataggio MPS per pagare i debiti opachi di pochi amici)

Prestiti sempre disponibili per gli amici

Che la proposta sia in sé stucchevole è evidente: se è vero che un nucleo relativamente piccolo di clienti abbia mandato a gambe per aria MPS, il problema è in gran parte legato al fatto che qualcuno in quella banca i soldi li ha loro prestati, pur in assenza dei requisiti e/o di una politica del credito prudente. Se Tizio si è rivelato un cliente inaffidabile, siamo davvero sicuri che non vi fosse alcun modo di prevederlo e che dietro agli sportelli della banca non vi sia stata una certa compiacenza, magari trattandosi del solito “amico o amico degli amici”?

E’ mai possibile che la banca pretenda quasi l’esame del DNA a chi richiede un mutuo anche solo di 50 o 100.000 euro, ma non riesca a tutelarsi dinnanzi alle grandi esposizioni? Di chi è veramente la colpa, di chi ha ricevuto il denaro per operazioni anche poco credibili o di chi glielo ha concesso, confidando che in Italia, se le cose si mettono male, i cordoni della borsa si chiudono sempre verso famiglie e piccoli imprenditori, ma mai verso gli amici? (Leggi anche: Sofferenze bancarie e il grande inganno a carico dei contribuenti)

 

 

 

 

E’ il capitalismo da salotto che non va

In queste settimane, il caso eclatante di quanto stiamo scrivendo lo offrono Unicredit e Intesa-Sanpaolo, che in qualità di soci e creditori, hanno prestato ad Alitalia altri 180 milioni di euro per evitarne il fallimento.

Ora, è da otto anni che la compagnia aerea va avanti a colpi di liquidità delle banche italiane, pur chiudendo ogni esercizio in perdita e non intravedendosi alcuna prospettiva industriale seria. E’ mai possibile che i soldi vi siano per questi carrozzoni e manchino per il povero Cristo, che voglia magari farsi finanziare l’acquisto di un macchinario o espandere un capannone? E se Alitalia fallisse un giorno o non fosse in grado di restituire il prestito, le banche creditrici potrebbero tirarsi fuori dalle polemiche, pubblicandone il nome e dichiarandosi non responsabili dell’accaduto? (Leggi anche: Crisi Alitalia, cosa insegna il fallimento dei capitani coraggiosi a MPS)

Il problema dei problemi per le banche italiane, ma non solo, è quel capitalismo relazionale, che fa in modo che il denaro e gli investimenti circolino sempre all’interno di un salotto sempre più ristretto e squattrinato, in cui creditore e debitore sono legati da rapporti di amicizia atavica o da affari opachi, che spesso s’inquadrano in logiche al di sopra di semplici operazioni di mercato. Si pubblichino pure le liste di proscrizione per inveire contro questo o quel debitore, ma nessuno speri così di de-responsabilizzare di un solo millesimo l’operato grave e in qualche caso forse persino in contrasto con le leggi di svariati banchieri italiani, che in molte occasioni hanno risposto più alle necessità personali o politiche dell’azionista di riferimento, che non all’interesse dell’istituto del quale dipendevano.