Andare in pensione o ottenere uno stipendio più alto è tornato a essere un tema attuale. Questo perché una vecchia misura, nota come bonus Maroni e introdotta durante un precedente governo Berlusconi, offriva un’interessante opzione ai contribuenti. Ora, quella stessa opzione torna ad essere ammissibile.
Anzi, nel 2025 questa opportunità viene estesa anche a una nuova misura, oltre a quella originariamente prevista dalla cosiddetta Quota 103. In pratica, il contribuente può scegliere se andare in pensione, avendo raggiunto i requisiti, oppure restare al lavoro, rinviando l’uscita e proseguendo l’attività lavorativa. In questo secondo caso, si beneficia di uno stipendio maggiorato per ogni mese di prosecuzione dell’attività.
Al posto della pensione ecco il bonus del 10% per il lavoratore, ma di cosa si tratta?
Il bonus Maroni (lo chiameremo ancora così per semplicità, anche se oggi ha un altro nome) è da tempo una soluzione adottata dal governo per incentivare il proseguimento dell’attività lavorativa anche da parte di chi ha già maturato i requisiti per la pensione con Quota 103.
Si tratta di un meccanismo disincentivante verso l’uscita anticipata dal lavoro, che ha già portato a una diminuzione del numero dei pensionamenti con questa modalità, sia nel 2024 che nel 2025. E proprio nel 2025, lo stesso incentivo è stato esteso anche a chi ha maturato i requisiti per la pensione anticipata ordinaria.
Ma perché si introducono questi disincentivi e quale vantaggio concreto ottiene il lavoratore?
Pensione e bonus Maroni, cos’è?
Dall’ultimo report INPS sul sistema previdenziale italiano, è emerso un dato significativo: le pensioni anticipate stanno calando nettamente. Sempre meno lavoratori sfruttano le uscite anticipate dal mondo del lavoro.
Una tendenza sorprendente, considerato che, secondo gli ultimi dati, l’età pensionabile è diminuita. Tuttavia, permane la preoccupazione che si vada in pensione troppo presto, mettendo a rischio l’integrità e la sostenibilità del sistema previdenziale.
Per questo motivo, accanto a misure sempre più penalizzanti per chi lascia il lavoro anzitempo, il governo ha introdotto strumenti premianti per chi sceglie di restare. Tra questi, appunto, il bonus contributivo per chi rimanda la pensione.
Rimandare la pensione conviene, ecco perché
Chi decide di continuare a lavorare nonostante abbia già maturato i requisiti per la pensione, può ottenere uno stipendio più alto. Questo vale per chi ha compiuto 62 anni di età e ha versato 41 anni di contributi, i requisiti richiesti per Quota 103.
La misura stabilisce che l’importo mensile non possa superare 4 volte il trattamento minimo e che il calcolo dell’assegno pensionistico debba essere interamente contributivo. Questo penalizza i pensionati che optano per l’uscita anticipata, i quali interrompono i versamenti contributivi e dunque maturano una pensione inferiore.
Inoltre, chi sceglie la Quota 103 non può più svolgere attività lavorativa, né subordinata né autonoma, durante tutto il periodo dell’anticipo, con l’unica eccezione di piccoli lavori autonomi occasionali fino a 5.000 euro di reddito annuo.
Va ricordato anche che i coefficienti di trasformazione dei contributi in pensione sono meno favorevoli a 62 anni rispetto, ad esempio, a 63, 64 o 65 anni.
In sintesi, uscire prima conviene meno, ed è vero anche per chi esce con i requisiti delle pensioni anticipate ordinarie (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne).
Chi può chiedere il bonus Maroni e cosa comporta
Chi ha raggiunto i requisiti per Quota 103 o per la pensione anticipata ordinaria può richiedere all’INPS il beneficio dello sgravio contributivo. Questo significa, in concreto, che la quota di contributi a carico del lavoratore, solitamente trattenuta ogni mese in busta paga, rimane nel netto percepito.
Basta presentare apposita domanda all’INPS: la conseguenza è un aumento dello stipendio netto pari al 9,19%, che corrisponde esattamente alla parte contributiva a carico del dipendente.