Il tour di Trump nel Golfo avrà effetti deflattivi sull’economia mondiale?

Il tour del presidente americano Donald Trump nel Golfo Persico è stato un grande successo e può avere effetti deflattivi per l'economia mondiale.
1 mese fa
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Gli effetti del tour di Trump nel Golfo
Gli effetti del tour di Trump nel Golfo © Licenza Creative Commons

Il tour del presidente americano Donald Trump nel Golfo Persico è stato un indubbio successo e che va oltre ogni aspettativa. Siglati accordi commerciali per centinaia di miliardi di dollari tra le imprese americane e le petromonarchie. Non a caso il tycoon è stato accompagnato dal gotha del mondo della finanza e dell’industria stelle e strisce. Tra questi l’immancabile Elon Musk, ma anche Larry Fink di BlackRock, Stephen Schwarzman di Blackstone, Kelly Ortberg di Boeing Defense, Jansen Huang di NVIDIA e persino John Elkann di Stellantis. La sola Arabia Saudita si è impegnata ad investire negli USA 600 miliardi di dollari in 4 anni e di acquistare armi per un pacchetto di 142 miliardi.

Trump nel Golfo annuncia revoca sanzioni a Siria

I leader regionali hanno mostrato massima fiducia in Trump nel corso del tour nel Golfo. E’ scattata un’ovazione quando ha annunciato che revocherà tutte le sanzioni alla Siria. Il principe saudita Mohammed bin Salman, prima ancora di alzarsi in piedi, si è portato la mano sul cuore per esternare il suo apprezzamento per la decisione. Le conseguenze di questo successo potrebbero essere globali. Oggi, il Brent perde circa il 3% e scende ad una quotazione di poco superiore ai 64 dollari. Forse, è un primo segnale.

Come detto, le sanzioni alla Siria sono state revocate. Erano state introdotte nel 2011 dagli USA e di fatto impedivano a chiunque di fare affari con il regime di Bashir al-Assad. La svolta di Trump consentirà agli stati del Golfo di stringere accordi commerciali con il nuovo regime di Amhad al-Sharaa, tra cui per lo sfruttamento delle risorse minerarie, petrolio compreso.

Prima della guerra civile, lo stato arabo estraeva la media di 386.000 barili al giorno, mentre attualmente appena 35.000. Ciò significa che esiste un grosso potenziale di crescita della produzione, a beneficio dell’offerta mondiale.

Possibile accordo nucleare con Iran

E sempre Trump ha annunciato che con l’Iran sarebbe vicino alla sottoscrizione di un accordo sul nucleare. Teheran punta da decenni all’arricchimento dell’uranio a scopi militari, cosa che gli USA vogliono impedire in ogni modo. Un accordo raggiunto a fine 2015 fu stracciato dalla prima amministrazione Trump nel 2018, il quale ripristinò l’embargo. Esso impedisce alla Repubblica Islamica di esportare petrolio, sebbene da anni alleati come la Cina abbiano trovato il modo di aggirare le sanzioni con escamotage semplici come il trasferimento del greggio da una nave all’altra in pieno Oceano Indiano.

L’Iran estrae attualmente 3,3 milioni di barili al giorno, di cui la metà destinati alle esportazioni. Prima delle sanzioni ne arrivò ad estrarre 4 milioni e sempre la metà di questi per le esportazioni. Ne consegue che l’aumento delle esportazioni che dovremmo attenderci nel tempo, sarebbe all’incirca di 500.000 barili al giorno. Sommati a un potenziale di 3-350.000 barili in Siria, arriviamo a una maggiore offerta complessiva massima sopra gli 800.000 barili al giorno. E’ meno dello 0,8% dell’offerta mondiale, ma pur sempre qualcosa che va nella direzione di aumentarla in una fase già incerta per la domanda.

Segnali ribassisti per petrolio

In pratica, Trump dal Golfo tornerebbe con in mano tanti contratti miliardari e una spinta al ribasso per le quotazioni petrolifere. Questo è ciò che desidera per fare scendere l’inflazione americana. E l’Arabia Saudita è stata ben lieta di accontentarlo nelle scorse settimane, sebbene si stia caricando di un grosso costo nell’immediato. Il calo del petrolio rischia di costringere il regno ad attuare politiche di austerità fiscale per preservare il bilancio statale.

Non è tutto. Dal tour nel Golfo Trump ha escluso una tappa in Israele, segnale negativo per il governo di Benjamin Netanyahu. Ciò può accrescere la pressione su Gerusalemme per trovare un accordo di pace con Hamas e cessare le ostilità. Qualcosa di simile sta avvenendo con la Russia di Vladimir Putin, che oggi tiene i colloqui con l’Ucraina a Istanbul, Turchia. Tuttavia, il presidente russo non sarà presente direttamente, un fatto che ridimensiona le aspettative. Il successo di Trump tra gli alleati mediorientali, però, manda un segnale a Mosca. La Siria viene attirata nella sfera d’influenza americana e sottratta a quella russo-iraniana. Inoltre, Riad è tornata ad essere la grande amica di Washington. Da leader del facto dell’OPEC+, ciò non farà piacere al Cremlino.

Trump nel Golfo rafforza i legami storici

In sostanza, anche su Israele e Russia cresce la pressione per cessare le rispettive ostilità con Hamas e Ucraina. Il tour di Trump nel Golfo è una cattiva notizia per coloro che scommettevano sulla perdita di presa degli USA in Medio Oriente. Al contrario, rilancia con forza i legami con gli alleati storici e ridimensiona il potere negoziale di attori come Cina e Russia. E se ciò può avvicinare il raggiungimento degli accordi di pace, può tramutarsi in fretta in un ulteriore calo delle quotazioni petrolifere. A sua volta, un segnale deflattivo per l’economia mondiale nel breve termine.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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