L’ottavo taglio dei tassi di interesse è arrivato come da previsione. La Banca Centrale Europea (BCE) lo ha comunicato ieri pomeriggio, al termine della quarta riunione del suo board in quest’anno. I rendimenti obbligazionari sono scesi come reazione immediata, mentre in un secondo momento sono risaliti drasticamente. Andamento opposto per le borse europee, che prima hanno guadagnato per passare in rosso o avvicinarsi alla parità mentre il governatore Christine Lagarde parlava alla conferenza stampa. Non si è trattato in gran parte solo del solito “buy the rumors and sell the news”. C’è stata anche e, soprattutto, la telefonata tra Donald Trump e Xi Jinping ad avere catalizzato l’attenzione dei mercati nella seconda parte della seduta.
Trump e Xi più vicini ad accordo sui dazi?
Il presidente americano ha sentito il suo collega cinese sui dazi dopo settimane di tensioni tra le due grandi potenze mondiali. Gli investitori sperano che la chiacchierata possa avvicinare un accordo commerciale. E lo stesso comunicato della BCE testimonia che dovremmo guardare più a queste notizie che non ai tassi in sé. Cosa contiene quello pubblicato ieri? Le nuove stime macroeconomiche per il triennio 2025-2027. Riassumendo: l’inflazione nell’Eurozona è rivista decisamente in calo per quest’anno e il prossimo dello 0,3% ciascuno rispetto alle stime di marzo, così come il Pil per l’anno prossimo viene limato dello 0,1%.
Geopolitica più influente di banche centrali
Minori inflazione e crescita economica portano a scontare tassi di interesse più bassi. Ma non è quanto è accaduto ieri dopo la reazione iniziale dei mercati.
Questi non scontano più neanche al 100% le probabilità di un nono taglio dei tassi entro l’anno. Il Bund a 10 anni, che segue proprio le attese sui tassi di interesse, sono passati da un minimo di 1,77% toccato dopo 15 minimo dalla pubblicazione del comunicato a un massimo di 1,85% di mezz’ora dopo l’inizio della conferenza stampa.
Cosa c’entrano Trump e Xi? Nell’aggiornare le previsioni macro, la BCE ha avvertito sull’elevata incertezza nel contesto internazionale. Infatti, se le tensioni sui dazi si aggravassero, vi sarebbero rischi al ribasso per inflazione e Pil nell’Eurozona. Viceversa, se le tensioni si allentassero, entrambi i dati potrebbero virare al rialzo. In pratica, la telefonata tra USA e Cina ha reso un po’ più probabile il verificarsi del secondo scenario. I numeri pubblicati dalla BCE potrebbero già considerarsi superati se il contesto geopolitico si evolvesse rapidamente. Ed è anche per questo che il cambio euro-dollaro ieri saliva, oltre al fatto che le richieste di nuovi sussidi di disoccupazione negli USA risultano cresciuti al massimo da inizio ottobre nell’ultima settimana di maggio.
Sui tassi BCE pausa estiva quasi certa
Sempre Lagarde ha informato i giornalisti che la decisione sui tassi di ieri è stata presa “quasi all’unanimità”.
Hanno votato a favore tutti, tranne uno. E quell’uno sarebbe l’austriaco Robert Holzmann, mentre la Bundesbank avrebbe acconsentito ad un ultimo taglio prima di una pausa estiva quasi certa. Tutto si muove così velocemente (e in maniera erratica) da non rendere solide le previsioni neanche a breve termine sull’andamento dei principali indicatori macro. Non sono le banche centrali a controllare la loro evoluzione, che al contrario subiscono. Le leve dell’economia sono nelle mani dei governi come mai prima negli ultimi decenni. Gli accordi commerciali faranno la differenza tra uno scenario deflattivo immediato e inflattivo nel medio-lungo termine e uno più inflattivo nell’immediato, ma rassicurante per il medio-lungo termine.
La BCE ha previsto un calo dell’inflazione all’1,6% nel 2026 per risalire al 2% nel 2027. Come dire che si attende un impatto al ribasso provvisorio sui prezzi al consumo, riuscendo a centrare il target già tra due anni. Le previsioni oltre i 12-18 mesi lasciano il tempo che trovano. Interessano i segnali. E quello che la BCE ha voluto lanciare ieri è che i governi nel breve potrebbero far propendere i dati verso l’una o l’altra direzione, mentre nel medio e lungo termine la situazione resta sotto controllo per la capacità della banca centrale di reagire agli eventi.
Allarme rendimenti
Sarà, ma Xi e Trump saranno i veri protagonisti dei mercati nei prossimi mesi. L’ottimismo per un accordo farebbe risalire ulteriormente i rendimenti a lungo termine, cosa che provocherà mal di testa più forti tra governi e governatori. Questi ultimi possono tutt’al più riuscire a controllare i rendimenti a breve tramite i tassi, ma poco o nulla possono sulle scadenze lunghe, che dipendono dalle aspettative d’inflazione e sui livelli di indebitamento. Sempre il comunicato di ieri chiariva che il Pil nell’Eurozona si starebbe mostrando resiliente grazie al sostegno che i governi stanno offrendo all’economia continentale attraverso l’annunciato riarmo. Anch’essa una decisione politica sulla quale le banche centrali non hanno becco.
Trump e Xi impattano sui mercati
Infine, una battuta Lagarde l’ha riservata anche sul cambio euro-dollaro. E questa volta non è stata banale. Ha definito “contraddittorio” l’apprezzamento registrato dopo l’annuncio dei dazi americani. In teoria, si sarebbe dovuto deprezzare per scontare un indebolimento della crescita europea. A suo avviso, ciò è accaduto a causa dell’erratica politica USA di questi mesi.
Tuttavia, ha avvertito che le cose potrebbero cambiare presto, ossia che l’euro può tornare a indebolirsi. E la telefonata tra Trump e Xi può avviare un percorso che vada verso quella direzione. Al di là delle fantasie sull’euro quale alternativa al dollaro, mettiamoci in testa che una valuta sale se l’economia cresce. E l’Eurozona è in panne; più resiliente del previsto, ma pur sempre in condizioni critiche.