Giovedì scorso, la Banca Centrale Europea (BCE) ha tagliato i tassi di interesse per l’ottava volta in un anno. Da quando ha iniziato ad allentare la politica monetaria nel giugno del 2024, soltanto alla riunione di luglio ha tenuto invariato il costo del denaro. E si moltiplicano i segnali per i quali ciò accadrà anche al prossimo board. Anzi, probabile che il taglio annunciato sia stato l’ultimo. Per dirla con le parole del governatore lettone Martins Kazaks, c’è valore nel “mantenere un margine di manovra politico”. La verità sarebbe una e sola una: la BCE non vuole più tornare lontanamente all’era dei tassi negativi, neanche in termini reali.
Tassi negativi brutto ricordo del passato
Con l’arrivo al timore di Francoforte di Mario Draghi nell’autunno del 2011, ci fu la svolta. I tassi vennero tagliati e dopo che la Bundesbank si convinse a non opporsi, venne varato anche il Quantitative Easing, un potente programma per gli acquisti di bond. I tassi furono finanche tagliati sotto lo zero. Non era mai accaduto prima nella storia che chi prestasse denaro, nei fatti pagasse per farlo. Al contrario, chi prendeva in prestito denaro, finiva con il guadagnare. Un sovvertimento delle leggi dell’economia che portò a gravi conseguenze.
Intanto, il mercato obbligazionario di fatto si “congelò”. I bond entravano e uscivano solamente dai portafogli istituzionali e per minimizzare le perdite, gli investitori si spostavano su scadenze sempre più lunghe. L’eccesso di liquidità fu talmente enorme da travalicare i mercati finanziari, finendo per alimentare la bolla immobiliare. E quando incontrò i potenti stimoli fiscali varati dai governi sotto il Covid, entrò nelle case delle famiglie, facendo esplodere i prezzi al consumo.
Pausa estiva certa
Nessuno tra le banche centrali vuole tornare all’era dei tassi negativi, chiusasi nell’estate del 2022 e che suggellerebbe anche la loro incapacità di garantire la stabilità dei prezzi. Il passo precedente consisterebbe nel tendere ai tassi reali negativi. Essi si ottengono sottraendo ai tassi nominali l’inflazione. A maggio, questa è scesa all’1,9% nell’Eurozona. Con i tassi sui depositi bancari al 2%, esiste ancora un minimo margine per segnalare un costo del denaro appena più alto. Negli USA, però, i tassi reali sono al 2,20%, nel Regno Unito allo 0,75% e in Canada all’1,05%. Solo il Giappone tra le economie del G7 ha tassi reali negativi: -3,35%.
Va precisato che il concetto sia meno elementare di quanto appaia. L’inflazione da sottrarre ai tassi nominali non dovrebbe essere quella vigente, bensì quella attesa per il medio periodo. Tuttavia, per comodità di calcolo e tenendo conto che le previsioni siano sempre difficili da dimostrare ex ante, si preferisce optare per la soluzione più semplice. Se la BCE non vuole che i tassi reali nell’area scendano sottozero, si prenderà certamente una pausa estiva e forse oltre. Un altro taglio non è escluso, anzi il mercato lo sconta per fine anno.
Ma esso verrebbe solo se l’inflazione continuasse a scendere a livelli tali da consentire la costituzione di un margine per evitare che superi il livello dei tassi nominali.
Tassi reali negativi solo con grave crisi
La BCE stessa prevede un’inflazione media all’1,6% nel 2026 per l’Eurozona, risalendo al 2% nel 2027. Questo implicherebbe una caduta vicino all’1% nei primi mesi dell’anno prossimo e una risalita verso il 2% alla fine. Ci possiamo aspettare, quindi, una nona sforbiciata entro i prossimi 6-9 mesi, così che i tassi reali restino positivi, mentre quelli nominali continuino a scendere. Solamente se l’economia nell’area sprofondasse tra dazi e tensioni geopolitiche a Francoforte si metterebbero il cuore in pace e porterebbero i tassi fin sotto l’inflazione, ma chiaramente sempre a patto che questa resti inferiore al target del 2%.