Proprio l’altro giorno la numero uno della Banca Centrale Europea (BCE), Christine Lagarde, parlava di occasione storica per l’euro di diventare alternativa credibile al dollaro. Poche ore dopo arrivava l’intervista di Klaus Schwab, capo del World Economic Forum (WEF), secondo cui proprio la francese si trasferirebbe a Davos prima della fine ufficiale del suo mandato a Francoforte. Un addio anticipato smentito dal suo stesso istituto, ma che aleggia come un fantasma e che rischia di far perdere all’euro per l’ennesima volta la possibilità di affermare il proprio successo sui mercati.
Moneta giovane con diverse crisi superate
La moneta unica è molto giovane.
Ha appena 26 anni e dalla sua nascita ha vissuto più di una crisi esistenziale. Nell’estate del 2012 sfiorò la scomparsa con la crisi dei debiti sovrani. Fu sventata dal “whatever it takes” di Mario Draghi, che fece capire agli investitori che l’avrebbe salvaguardata “in qualsiasi modo”. La pandemia fu un altro test imprevisto, superato grazie alla risposta unitaria dei governi europei con il Next Generation EU. La guerra tra Russia e Ucraina scaraventò il cambio contro il dollaro ai minimi dal 2022. E ora i dazi americani, che pur impattando negativamente sulla nostra economia esportatrice, sta affievolendo la fiducia degli investitori mondiali nel dollaro.
Ma il fatto che la credibilità del dollaro sia in discussione, non implica che necessariamente l’euro si avvii verso un traguardo di successo. Con la perdita definitiva del rating tripla A, gli USA dimostrano di essere una superpotenza in affanno. Ma l’Eurozona cos’è? Non è una superpotenza militare e geopolitica, tanto per iniziare. Tant’è che, su “pungolo” dell’amministrazione Trump, è costretta a riarmarsi in fretta e furia. E’ un’area economicamente molto ricca, per dimensioni dietro solo a USA e Cina.
Tuttavia, non ha una governance degna di questo nome.
Moneta unica già senza un genitore
L’euro è orfano di almeno uno dei due genitori (fate voi se 1 o 2, mamma o papà). E’ la moneta comune a 20 stati, ciascuno con una politica fiscale propria, pur con un minimo comune denominatore imposto tramite accordi sovranazionali come il Patto di stabilità. Non c’è un Tesoro che emette debito in euro, semplicemente perché non esistono entrate fiscali comuni. Le emissioni per finanziare il Next Generation EU sono un fatto ad oggi episodico e ufficialmente senza un dopo. C’è solo una banca centrale che emette moneta in euro. E da questa settimana sappiamo che il suo più alto rappresentante vorrebbe traslocare altrove, evidentemente percependo più rilevante il compito che andrebbe a ricoprire rispetto a quello che ricopre adesso.
La mossa sbagliata nel momento più inopportuno possibile. Garantire il successo all’euro significa, in questa fase, presidiarlo giorno e notte dalle insidie che potrebbero farci perdere ancora una volta l’occasione storica di affermarci a fianco al dollaro quale valuta di riserva mondiale. C’è bisogno di consolidare la fiducia dei mercati, che finalmente sta palesandosi anche tramite la compressione degli spread ai minimi termini sin dal 2010.
Ma se colei che gestisce la politica monetaria, in queste settimane va a trattare con un soggetto privato per guidare un ente terzo, anziché concentrarsi sul proprio operato, come pensiamo di mostrarci affidabili?
Successo dell’euro impedito dall’auto-sabotaggio
Non è eresia in sé anticipare la fine del mandato per fare altro. Ma risulta inopportuno nel caso dell’euro, in quanto moneta già orfana di un genitore. Significherebbe lasciarlo del tutto privo di cure parentali e proprio mentre sta per diventare grande. Attenzione: la BCE non rimarrebbe senza governatore un solo giorno. I governi rimpiazzerebbero Lagarde con una nuova nomina o per un periodo di tempo le redini passerebbero al vice per gestire la “vacatio”. Comunque, un fatto inopportuno per un’area senza una vera guida comune che la rappresenti nei consessi internazionali e in una fase di grandi tensioni, dove a gestire il mazzo sono i leader forti. Sembra che il successo dell’euro di volta in volta sia impedito dalla miopia dei suoi sostenitori teoricamente più accaniti. Un auto-sabotaggio inconsapevole, figlio della modesta classe dirigente europea di questa fase storica.