Lo spread tra BTp e Bund a 10 anni è sceso ormai stabilmente attorno ai 100 punti base. Questo significa che gli investitori chiedono un rendimento dell’1% più alto per acquistare titoli di stato italiani al posto dei tedeschi. Da quando è nato l’euro lo spread più alto venne toccato tra la fine del 2011 e l’estate del 2012, quando raggiunse l’apice dei 576 punti base nel corso di una seduta. Fu il segno di un elevato rischio sovrano percepito. Il mercato temeva che l’Italia non sarebbe stata in grado di lì a breve di onorare i suoi debiti. Un dubbio che colpì tutti i bond del Sud Europa, oltre a quelli dell’Irlanda.
Tra il 2010 e il 2011, in effetti, erano finiti in bancarotta Irlanda, Grecia e Portogallo. E nel 2012 servirono aiuti europei alle banche spagnole per evitarne il crac.
CDS a 5 anni ai minimi dal 2008
Lo spread non è l’unico indicatore in grado di misurare il rischio sovrano. Ci sono i CDS, acronimo per Credit Default Swaps. Si tratta di titoli assicurativi “over the counter”, che garantiscono il capitale dal rischio default dell’emittente. Non sono alla portata di tutti, in quanto il capitale minimo assicurabile è di 10 milione di euro. Più costano e più alte le probabilità scontate per un possibile crac nel medio-lungo periodo.
I CDS a 5 anni in Italia valgono attualmente 53-54 punti base, ma sono arrivati a prezzare anche solo 50 punti. In pratica, un investitore è tenuto a pagare intorno allo 0,50% all’anno rispetto al valore del capitale assicurato, costituito da BTp. E’ il livello più basso dal lontano 2008.
Un anno non a caso, perché segno l’inizio della potente crisi finanziaria mondiale con il fallimento di Lehman Brothers nel mese di settembre. Il mondo non sarebbe stato più lo stesso da allora. Per quanto ci riguarda, avremmo imparato a parlare di spread solamente di lì in avanti.
Il rischio sovrano esplose a seguito dei timori relativi all’Eurozona, fino ad allora considerata una vera unione monetaria (e politica). Le divergenze tra stati e le incertezze nell’affrontare la crisi in Grecia fecero emergere una realtà del tutto differente. I CDS a 5 anni arrivarono a costare 566 punti alla fine del 2011. Il costo per assicurarsi dal default italiano schizzò fino al 5,66% all’anno, segnalando l’elevata probabilità attesa che tale rischio si verificasse.
Prudenza fiscale affossa lo spread
E’ importante citare questi numeri, perché in queste settimane in Italia c’è la tendenza a minimizzare il calo dello spread a 100 punti. Il governo rivendica un po’ pomposamente il risultato come frutto della propria credibilità in ambito fiscale. La premier Giorgia Meloni ha affermato, evidentemente in errore, che i titoli di stato italiani vengono ormai percepiti più sicuri dei tedeschi. Per nulla. Continuano ad essere percepiti i più rischiosi dell’area, seppure molto meno che in passato.
Le opposizioni sostengono che sia più la risalita dei rendimenti tedeschi ad avere fatto diminuire lo spread.
In effetti, in questi mesi abbiamo assistito al crollo dei prezzi per i Bund con l’annuncio del riarmo tedesco. Il mercato sconta un debito più alto in Germania, mentre l’Italia si mostra prudente nel fare deficit per aumentare la spesa militare. In un certo senso, tra Berlino e Roma si prevede un avvicinamento in termini di debito pubblico. Ma i CDS svelano che, indipendentemente dai “demeriti” tedeschi”, esiste una questione di meriti italiani. I nostri conti pubblici sono risultati migliori delle attese nel 2024, con il deficit sceso al 3,4%. E abbiamo riportato il primo avanzo primario dal 2019. Al netto degli interessi sul debito, riusciamo nuovamente a chiudere il bilancio in attivo.
Rischio sovrano giù con stabilità politica
La stabilità politica aiuta. Il governo Meloni si mostra rassicurante nella gestione dei conti pubblici e gode di sostegno nell’opinione pubblica, caso più unico che raro nell’Europa odierna. Ecco perché il rischio sovrano è basso. Non si parla più di Italexit, non c’è più il timore che prima o poi al governo possano arrivare formazioni euroscettiche e con le mani bucate. Lo scenario politico peggiore si ebbe nel 2018 con la nascita del primo governo Conte, che i mercati percepirono assai negativamente. Esso era sorretto da due formazioni contrarie all’euro, cioè Movimento 5 Stelle e Lega, anche se alla prova dei fatti nessuno mise seriamente in discussione la permanenza dell’Italia nell’unione monetaria.