Trasferimento del lavoratore: quando è legittimo e quando può essere contestato?

Il trasferimento del lavoratore è un delicato strumento organizzativo che richiede equilibrio tra esigenze aziendali e diritti individuali
1 mese fa
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trasferimento lavoratore
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Nel panorama del diritto del lavoro italiano, il trasferimento del lavoratore rappresenta un istituto di grande rilevanza, poiché incide in modo diretto sull’organizzazione aziendale e sulla vita del dipendente.

Si tratta, in sostanza, dello spostamento definitivo di un lavoratore da una sede produttiva a un’altra, sempre all’interno della stessa impresa. Questo tipo di mobilità interna rientra nel potere direttivo riconosciuto al datore di lavoro, ma non è privo di vincoli normativi e giurisprudenziali.

Trasferimento del lavoratore: natura e condizioni

La possibilità di trasferire un dipendente è parte integrante delle prerogative riconosciute al datore di lavoro, purché esercitata nei limiti stabiliti dalla legge.

Il trasferimento del lavoratore può avvenire in due modi: su base consensuale oppure per iniziativa unilaterale dell’azienda, ma solo in presenza di specifiche esigenze di natura tecnica, produttiva o organizzativa. In quest’ultimo caso, è compito del datore dimostrare la sussistenza effettiva e concreta di tali motivazioni.

Le condizioni di legittimità del trasferimento sono state chiarite dalla giurisprudenza, in particolare da una sentenza della Corte di Cassazione (n. 21037 del 2006), che ha fissato alcuni punti fermi per la validità dell’atto. Secondo i giudici, l’assenza di giustificazioni adeguate comporta la nullità del trasferimento, rendendolo privo di efficacia giuridica.

Requisiti per la legittimità del trasferimento

Affinché il trasferimento del lavoratore possa considerarsi conforme alle norme vigenti, devono essere soddisfatte tre condizioni fondamentali, che ricadono interamente sotto l’onere probatorio del datore di lavoro:

  • superfluità del dipendente nella sede di origine – l’azienda deve fornire evidenza del fatto che la permanenza del lavoratore nella sede attuale non sia più necessaria, dimostrando un calo di attività, una riorganizzazione o un mutamento delle esigenze operative;
  • motivazione della scelta individuale – è necessario che venga illustrato perché la scelta sia ricaduta proprio su quel lavoratore, piuttosto che su altri dipendenti con mansioni simili.

    La selezione deve fondarsi su criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori;

  • utilità del dipendente nella nuova sede – il trasferimento deve rispondere a un reale fabbisogno dell’unità di destinazione, che richiede le competenze specifiche del lavoratore in questione. Non è sufficiente una generica esigenza di personale.

Conseguenze in caso di rifiuto al trasferimento del lavoratore

Il lavoratore chiamato a trasferirsi ha il dovere di rispettare le disposizioni aziendali, salvo che vi siano valide ragioni per opporsi. Un rifiuto privo di giustificazione può dar luogo a un’azione disciplinare da parte del datore di lavoro, in quanto configurabile come inadempimento contrattuale.

Tuttavia, il sistema normativo prevede delle eccezioni ben definite, che consentono al dipendente di rifiutare il trasferimento in modo legittimo, senza subire conseguenze sanzionatorie. Si tratta di situazioni in cui il diritto alla tutela della persona e della famiglia prevale sull’interesse organizzativo dell’azienda.

Ipotesi di legittimo rifiuto

La legge riconosce al lavoratore la possibilità di opporsi al trasferimento in presenza di condizioni personali o familiari particolarmente rilevanti. Tra queste si annoverano:

  • Grave disabilità – il lavoratore affetto da una disabilità grave, riconosciuta ai sensi dell’art.

    33, comma 5, della Legge 104/1992, ha diritto alla stabilità della sede di lavoro. La mobilità forzata rappresenterebbe un ostacolo all’assistenza sanitaria e al benessere psicofisico della persona.

  • Assistenza a familiari disabili – anche chi si prende cura in modo continuativo di un congiunto convivente (coniuge, parente o affine entro il secondo grado) con disabilità grave ha diritto alla permanenza nella sede attuale. L’obiettivo è garantire la continuità assistenziale, nel rispetto dei principi costituzionali di solidarietà familiare.
  • Dirigenti sindacali – i rappresentanti delle RSA (Rappresentanze Sindacali Aziendali), come stabilito dall’art. 22 della Legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), godono di una particolare tutela. Il trasferimento non può essere disposto senza il preventivo consenso dell’organismo sindacale di appartenenza.
  • Mandato elettivo in enti territoriali – il lavoratore eletto in un consiglio comunale, provinciale o di altro ente locale ha diritto a restare nella sede di servizio per tutta la durata del mandato. Ciò consente di conciliare l’attività lavorativa con l’impegno civico.

Trasferimento del lavoratore: bilanciamento tra esigenze aziendali e diritti

Il trasferimento del lavoratore, se da un lato rappresenta uno strumento utile per adattare la struttura organizzativa dell’impresa alle mutevoli condizioni di mercato, dall’altro deve confrontarsi con i diritti fondamentali del dipendente. L’equilibrio tra le due sfere – quella imprenditoriale e quella personale – costituisce la chiave per una gestione corretta e sostenibile della mobilità interna.

Un impiego arbitrario di questo strumento può portare a contenziosi legali e compromettere il clima aziendale. Per questa ragione, è fondamentale che i datori di lavoro adottino criteri di trasparenza, dialogo con i lavoratori coinvolti e, ove possibile, percorsi condivisi per trovare soluzioni alternative al trasferimento forzato.

Un campo delicato

Nel contesto del diritto del lavoro italiano, il trasferimento del lavoratore rappresenta un’area delicata, soggetta a una fitta regolamentazione e a rigorosi controlli giurisprudenziali. L’atto deve essere giustificato da motivazioni concrete e documentabili e non può prescindere da una valutazione attenta delle condizioni personali del dipendente.

Il rispetto delle norme, la trasparenza nella comunicazione e il riconoscimento dei diritti individuali rappresentano elementi imprescindibili per un trasferimento legittimo e sostenibile.

In caso contrario, l’azienda rischia di incorrere in provvedimenti giudiziari e di danneggiare in modo irreversibile il rapporto fiduciario con il proprio personale.

Riassumendo

  • Il trasferimento comporta lo spostamento definitivo del lavoratore tra diverse sedi aziendali.
  • È legittimo solo con comprovate esigenze tecniche, organizzative o produttive.
  • Il datore deve dimostrare inutilità nella sede attuale e necessità nella nuova.
  • Il rifiuto ingiustificato può portare a sanzioni disciplinari.
  • Esistono eccezioni: disabilità, assistenza familiare, ruoli sindacali o incarichi elettivi.
  • Serve equilibrio tra esigenze aziendali e diritti del lavoratore.

Pasquale Pirone

Dottore Commercialista abilitato approda nel 2020 nella redazione di InvestireOggi.it, per la sezione Fisco. E’ giornalista iscritto all’ODG della Campania.
In qualità di redattore coltiva, grazie allo studio e al continuo aggiornamento, la sua passione per la materia fiscale e la scrittura facendone la sua principale attività lavorativa.
Dottore Commercialista abilitato e Consulente per privati e aziende in campo fiscale, ha curato per anni approfondimenti e articoli sulle tematiche fiscali per riviste specializzate del settore.

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