Anche se spesso si sostiene che il sistema previdenziale italiano sia poco flessibile, esistono in realtà alcuni margini di scelta per chi decide quando uscire dal lavoro. Diverse misure previste dal nostro ordinamento consentono ai lavoratori di optare per la pensione o, in alternativa, di rimandare l’uscita proseguendo l’attività lavorativa.
La decisione non è banale e richiede un’analisi attenta, perché in alcuni casi rimanere al lavoro può risultare vantaggioso, soprattutto alla luce delle novità normative introdotte negli ultimi anni.
“Buongiorno, mi chiamo Vincenzo e sono un vostro fedele lettore. Vorrei capire quali sono i vantaggi per noi lavoratori che potremmo ottenere un bonus sullo stipendio se rimandiamo la pensione.
Sono un impiegato d’ufficio presso un’azienda del settore trasporti. A novembre compirò 67 anni e ho già maturato 35 anni di contributi. Dovrei andare in pensione a novembre, ma vorrei sapere se rimandando l’uscita potrei ottenere un incremento dello stipendio. In alcuni vostri articoli ho letto che, rimandando il pensionamento, si può percepire uno stipendio più alto e continuare ad accumulare contributi.”
Restare al lavoro e rimandare la pensione: conviene a volte, ma in alcuni casi non è possibile
Andare in pensione è un traguardo importante, spesso atteso con ansia, ma anche carico di incertezze. Non è facile lasciare il lavoro, soprattutto se ci si sente ancora capaci e motivati a proseguire. In molti casi, continuare a lavorare consente di ottenere una pensione più alta, specialmente nel sistema contributivo.
Nel sistema contributivo, infatti, ogni anno di lavoro in più contribuisce ad aumentare il montante individuale, e quindi anche l’importo futuro della pensione.
Tuttavia, bisogna fare attenzione: se il lavoratore ha iniziato a versare contributi dopo il 31 dicembre 1995, la pensione sarà interamente contributiva, e rimandare l’uscita porta reali vantaggi. Ma se ha versato anche prima del 1996, entra in gioco anche la quota retributiva, calcolata sulla base delle retribuzioni degli ultimi 5 anni. In questo caso, avere stipendi bassi proprio nella parte finale della carriera può penalizzare l’importo della pensione.
I contributi, i versamenti, lo stipendio e il trattamento previdenziale: ecco cosa conta davvero
Nel 2025, è ancora in vigore una misura che permette ai lavoratori che rimandano la pensione di ottenere un bonus sullo stipendio, pari al 9,19% della retribuzione lorda.
Si tratta della quota di contributi a carico del lavoratore che normalmente viene trattenuta in busta paga e versata all’INPS. In pratica, un lavoratore dipendente iscritto al FPLD (Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti) versa il 33% della retribuzione, di cui il 9,19% è a suo carico.
Chi decide di rimandare la pensione, pur avendo maturato i requisiti per farlo, può chiedere che questa quota non venga versata all’INPS, ma resti in busta paga, aumentando il netto mensile.
Va però sottolineato che durante il periodo in cui si percepisce il bonus, il lavoratore non accumula contribuzione piena, ma guadagna di più ogni mese.
Il bonus stipendio non vale sempre per chi rimanda la pensione
È importante non fare confusione.
Il bonus stipendiale, spesso chiamato “bonus Maroni“, non è disponibile per tutti. È infatti riservato esclusivamente a chi ha maturato i requisiti per la pensione anticipata ordinaria o per la Quota 103.
Nello specifico:
- per la pensione anticipata ordinaria: occorrono 42 anni e 10 mesi di contributi (per gli uomini) o 41 anni e 10 mesi (per le donne), indipendentemente dall’età;
- per la Quota 103: servono almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi.
Quindi, chi — come il nostro lettore — ha raggiunto i 67 anni di età e ha 35 anni di contributi, rientra nel regime della pensione di vecchiaia. In questo caso, non è possibile accedere al bonus.
Inoltre, anche per coloro che possono usufruirne, il bonus cessa automaticamente al compimento dei 67 anni, età che segna il limite massimo per restare al lavoro con questo tipo di incentivo.