Quanto sta accadendo tra Israele e Iran, avrà conseguenze dirompenti anche in altre parti del mondo. Anzi, le sta già avendo sulla Corea del Nord, dove già il dittatore Kim Jong Un aveva risposto picche all’ultima lettera speditagli dal presidente americano Donald Trump per l’avvio di nuove trattative. I due leader s’incontrarono per tre volte tra il 2018 e il 2019 con l’obiettivo di trovare un accordo sulla corsa al nucleare di Pyongyang. Una situazione del tutto simile a quella iraniana. I frequenti lanci di missili balistici hanno costretto nel decennio passato la Comunità internazionale ad applicare dure sanzioni a carico dell’economia asiatica.
Cambio al collasso in Corea del Nord
Capire cosa succede nel famigerato “stato eremita” è un’impresa. Non ci sono cifre ufficiali, per cui sono analisi indipendenti svolte da soggetti stranieri come la Banca di Corea (del Sud) riescono di tanto in tanto ad offrirci uno spaccato dell’economia in Corea del Nord. Alcune di queste sono diramate dal quotidiano di opposizione all’estero Daily NK. Sappiamo, ad esempio, che il tasso di cambio contro il dollaro è collassato negli ultimi tempi: -56% in un anno. E nelle ultime due settimane al 7 giugno scorso ha registrato un pesante -11%.
Spirale inflazionistica con maxi-aumenti degli stipendi pubblici
Nel frattempo, il prezzo del riso è più che raddoppiato, salendo a Pyongyang a una media di 12.000 won (0,43 dollari) al kg (+110%). Cosa sta succedendo? Pur tra le difficoltà sopra citate, possiamo dedurre che l’operazione messa in campo dal regime per riconvertire l’economia, stia fallendo. Alla fine del 2023 gli stipendi pubblici vennero mediamente decuplicati, in alcuni casi aumentati di 50 volte.
Partivano da livelli così bassi da essere considerati simbolici. E molti abitanti della Corea del Nord non ne volevano sentire di lavorare alle dipendenze dello stato, quando nel piccolo settore privato avevano l’opportunità di guadagnare un multiplo della cifra offerta da questi.
Se prima uno stipendio pubblico in media era di appena 3.000 won al mese, adesso risulta salito a 30.000 won. Peccato che per l’acquisto dei beni di prima necessità una famiglia di 4 componenti avrebbe bisogno di 300.000 won al mese. E il monitoraggio dei prezzi al mercato rileverebbe che l’aumento degli stipendi pubblici abbia innescato una spirale inflazionistica. In pratica, il potere di acquisto è rimasto sostanzialmente invariato nell’ultimo anno e mezzo.
Settore privato strangolato
Con quali soldi il regime di Kim Jong Un si è potuto permettere questa spesa? In parte, strangolando il settore privato con nuove imposte. Ad esempio, i commercianti di strada con stalli fissi nella provincia del Nord Hwanghae si sono visti aumentare la tassa giornaliera da un precedente massimo di 5.000 won a 60.000 won. Al cambio vigente al mercato nero di 27.700 won per un dollaro, farebbero appena 2,17 dollari al giorno. Sembrano pochi, ma sono tantissimi per la realtà in Corea del Nord, dove gli stipendi medi non superano i pochi dollari al mese. Lo stesso Pil pro-capite non arriverebbe a 1.500 dollari all’anno.
Come se non bastasse, nella stagione del raccolto di riso i mercati restano aperti per meno ore, dato che i commercianti sono impegnati per parte della giornata in campagna. La stangata incide, dunque, su un volume di vendite più basso e starebbe costringendo questa vivace classe sociale a lavorare in penombra e non più alla luce del sole, così da sfuggire alla batosta. E dire che l’economia dei “jangmadang” aveva beneficiato di una parziale liberalizzazione, pur sotto forma di tolleranza ufficiosa, nei primi anni di potere di Kim Jong Un. Il dittatore vuole ora riappropriarsi del potere economico che i commercianti si erano ritagliati, peraltro aumentando il benessere di tutti.
Nuove sanzioni per Corea del Nord?
Una svolta autoritaria, se vogliamo un ritorno alle origini, che sembra destinata a rafforzarsi con l’escalation tra Israele e Iran. Ora più che mai Kim Jong Un si vorrà dotare dell’arma nucleare a fini di deterrenza, non solo contro gli Stati Uniti e i suoi alleati occidentali, bensì anche della stessa Cina. Pyongyang nota da anni che i regimi cadono quando non dispongono di armi nucleari con cui minacciare l’Occidente nel caso di tensioni geopolitiche. Questo può voler dire che le trattative con Washington non si riapriranno e che, anzi, la Corea del Nord potrebbe accelerare sul suo programma militare, anche a costo di subire ulteriori sanzioni. Chissà che l’acuirsi della crisi del cambio non stia riflettendo la corsa dei cittadini a comprare dollari per ripararsi da future tensioni.