Referendum sul licenziamento: cosa cambia per i lavoratori se vince il SÌ

Il referendum di giugno potrebbe rivoluzionare le tutele per licenziamento, colmando il divario tra piccole e grandi imprese.
3 settimane fa
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Foto © Investireoggi

L’8 e 9 giugno rappresentano una data spartiacque per il futuro del lavoro in Italia. Il referendum previsto in quei giorni si pone come obiettivo una ridefinizione profonda del concetto di licenziamento, in particolare per quanto riguarda le tutele economiche riconosciute ai lavoratori delle imprese di piccole dimensioni.

Il sistema attuale presenta una netta divisione tra le garanzie previste per i dipendenti delle grandi imprese e quelle riservate a chi lavora in aziende con meno di 16 dipendenti. Questa distinzione si riflette soprattutto nella disciplina dei risarcimenti in caso di licenziamento ritenuto privo di giustificato motivo.

Oggi, un lavoratore licenziato ingiustamente da una piccola azienda ha diritto a un risarcimento che non può superare le sei mensilità.

Ciò significa che, anche con dieci anni di anzianità e una retribuzione mensile di 1.500 euro, il massimo risarcibile si ferma a circa 9.000 euro. Invece, per un lavoratore con lo stesso profilo in una grande impresa, l’indennizzo può raggiungere e superare le 36 mensilità, equivalenti a circa 54.000 euro. Questa asimmetria è diventata sempre più difficile da giustificare in un mercato del lavoro che aspira a una maggiore equità.

Licenziamento: cosa cambierebbe con la vittoria del SÌ

Il referendum di giugno 2025 mira, tra l’altro, ad abolire il tetto massimo al risarcimento economico nei casi di licenziamento ingiustificato nelle piccole aziende. Se il voto favorevole dovesse prevalere, i giudici del lavoro avrebbero un margine più ampio per valutare l’entità del danno subito dal lavoratore, considerando diversi fattori: l’anzianità accumulata, le difficoltà oggettive di trovare una nuova occupazione, la condizione familiare, l’età e altri elementi soggettivi rilevanti.

Tutto ciò si tradurrebbe nella possibilità, per i lavoratori delle piccole realtà imprenditoriali, di ottenere un indennizzo proporzionato alla loro effettiva condizione, che potrebbe avvicinarsi ai livelli garantiti ai dipendenti delle grandi strutture aziendali. In sostanza, si andrebbe verso una maggiore uniformità nel trattamento risarcitorio tra lavoratori, prescindendo dalla dimensione dell’organizzazione per cui prestano servizio.

Una questione di principio: l’uguaglianza nei diritti

Al centro della discussione non c’è solo l’aspetto economico, ma anche una più ampia riflessione giuridica e sociale. È lecito che l’entità del risarcimento in caso di licenziamento illegittimo sia determinata dal numero di dipendenti dell’azienda? Questo quesito mette in discussione uno dei capisaldi del diritto del lavoro, ovvero il principio di parità di trattamento.

La Corte Costituzionale si è già espressa in merito con la sentenza n. 183 del 2022, sottolineando la necessità di rimuovere quelle diseguaglianze che ledono la dignità del lavoratore e creano un sistema bifronte. Secondo la Consulta, infatti, la protezione da un licenziamento senza giusta causa non può variare in modo così marcato in funzione della struttura organizzativa dell’impresa.

Le preoccupazioni delle imprese minori

Non mancano però le voci contrarie, soprattutto da parte delle piccole e microimprese. Il timore principale è che l’eliminazione del limite massimo ai risarcimenti possa tradursi in una pressione finanziaria eccessiva per aziende già vulnerabili. Per queste realtà, dover affrontare indennizzi elevati in caso di controversie sui licenziamenti potrebbe rappresentare un serio rischio di sostenibilità economica.

In particolare, si teme che un tale scenario possa inibire le assunzioni, disincentivando la crescita dell’occupazione stabile. Le imprese più fragili potrebbero decidere di ridurre il ricorso a contratti a tempo indeterminato oppure adottare strategie difensive per limitare la propria esposizione a potenziali controversie legali.

La salvaguardia dell’irretroattività

Un elemento rassicurante, tuttavia, riguarda la natura non retroattiva delle eventuali modifiche normative derivanti dal referendum. In pratica, l’abolizione del tetto ai risarcimenti si applicherebbe soltanto ai licenziamenti effettuati successivamente all’entrata in vigore della nuova disciplina. Le situazioni pregresse, anche se ancora oggetto di giudizio, non verrebbero interessate dalla riforma.

Questo meccanismo di salvaguardia ha il merito di rendere la transizione più graduale, attenuando l’impatto sulle imprese e offrendo al sistema tempo e margini per adeguarsi al nuovo assetto.

Licenziamento lavoratori: verso un sistema più coerente

L’intento sotteso al referendum è, dunque, quello di portare a compimento un processo di riequilibrio tra diritti e doveri nel mondo del lavoro. La scelta di riconoscere un trattamento più equo in materia di licenziamento riflette un’evoluzione culturale prima ancora che normativa: quella che considera la dignità del lavoratore come un valore universale, indipendente dalle condizioni economiche del datore di lavoro.

Superare una logica basata su soglie numeriche significa costruire un sistema in cui i diritti fondamentali non sono subordinati alla forza contrattuale delle parti, ma si fondano su principi di equità sostanziale. È questa la direzione in cui punta il quesito referendario, che va ben oltre la questione meramente monetaria.

Una sfida per il futuro del lavoro

Qualunque sarà l’esito del voto, il referendum dell’8 e 9 giugno rappresenta un’occasione per riflettere su un tema cruciale: la giustizia nei rapporti di lavoro. La disciplina del licenziamento, da sempre oggetto di controversie e riforme, si conferma ancora una volta terreno di confronto tra esigenze imprenditoriali e diritti costituzionalmente tutelati.

L’auspicio è che, quale che sia la decisione degli elettori, essa sia frutto di una consapevolezza matura e informata, capace di tenere insieme le esigenze di sviluppo economico e quelle di tutela sociale.

Perché solo in un sistema giusto e bilanciato il lavoro può davvero diventare motore di crescita e coesione.

Riassumendo

  • Il referendum propone l’abolizione del tetto risarcitorio per licenziamenti nelle piccole imprese.
  • Attualmente esiste una forte disparità tra tutele per grandi e piccole aziende.
  • Con il SÌ, i giudici potranno valutare risarcimenti in modo più personalizzato.
  • Le piccole imprese temono costi insostenibili e minor propensione all’assunzione.
  • La nuova norma si applicherebbe solo ai licenziamenti futuri, non retroattivamente.
  • L’obiettivo è rendere il sistema più equo e rispettoso della dignità lavorativa.

Pasquale Pirone

Dottore Commercialista abilitato approda nel 2020 nella redazione di InvestireOggi.it, per la sezione Fisco. E’ giornalista iscritto all’ODG della Campania.
In qualità di redattore coltiva, grazie allo studio e al continuo aggiornamento, la sua passione per la materia fiscale e la scrittura facendone la sua principale attività lavorativa.
Dottore Commercialista abilitato e Consulente per privati e aziende in campo fiscale, ha curato per anni approfondimenti e articoli sulle tematiche fiscali per riviste specializzate del settore.

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