Fitch ci ha graziati. Venerdì sera, l’agenzia di rating ha mantenuto inalterato il giudizio sul debito sovrano dell’Italia a “BBB” con outlook “negativo”. Il timore di un declassamento viene così rinviato, sebbene probabilmente non di molto, data la congiuntura economica avversa in cui lo Stivale è caduto dalla seconda metà dello scorso anno e la crescita quasi del tutto azzerata attesa per questo 2019. Perlomeno, abbiamo evitato una bocciatura rischiosa, perché S&P, Moody’s e Fitch ci collocano tutte solo a due passi sopra il livello “junk” o “spazzatura”, precipitando nel quale avremmo serie difficoltà a continuarci a rifinanziare sui mercati, visto che molti fondi non potrebbero per statuto acquistare più i nostri BTp, divenendo questi titoli “speculativi”.

Rating BTp, Fitch e l’impatto possibile sui nostri titoli di stato tra rischio “downgrade” e outlook 

Che l’Italia abbia un grave problema di giudizio sui mercati lo si capisce analizzando la situazione complessiva dell’Eurozona. Gli stati membri sono 19 e possono suddividersi in diversi gruppi, a seconda della solidità dei rating sovrani di cui godono. In cima alla classifica troviamo solamente 3: Germania, Olanda e Lussemburgo. I loro bond vengono valutati tutti con la tripla “A” da parte di tutte e tre le principali agenzie. Non a caso, fungono da “benchmark” per valutare il grado di rischio percepito per i bond degli altri stati dell’area e da porti sicuri per gli investimenti.

Come mai sono considerati così benevolmente? Gli stati che li emettono sono scarsamente indebitati: si va dal 60% o poco più della Germania al 23% del Lussemburgo, passando per il 57% (2017) dell’Olanda. In più, le rispettive economie si sono tutte riprese dalla crisi esplosa nel 2008, risultando in crescita a doppia cifra rispetto ai livelli di pil del 2007. Dunque, il mix tra crescita moderata e bassi debiti rendono i titoli del debito emessi abbastanza solidi da beneficiare della massima valutazione delle agenzie.

Le economie relativamente solide

A seguire, abbiamo un altro trio: Austria, Francia e Finlandia. Hanno perso la tripla “A”, ma si mantengono nei suoi pressi, segnalando semmai di non essere meritevoli del voto massimo, pur restando finanziariamente molto solide. I debiti sovrani sono più alti del trio precedente, variando dal 61% della Finlandia al 98% della Francia, passando dal 78% dell’Austria (tutti dati al 2017). Inoltre, le rispettive economie si sono riprese considerevolmente dalla crisi del 2008, ma registrando tassi di crescita poco dinamici e al termine del 2017, nessuno aveva segnato un rialzo del pil a doppia cifra rispetto al 2007.

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E arriviamo al corpaccione delle economie dell’area con rating soddisfacentemente positivi, in quanto tutte in serie A, sebbene tendendo ai livelli medio-bassi di questa serie. Parliamo di Belgio, Malta, Lettonia, Lituania, Estonia, Irlanda e Slovacchia. I livelli di debito/pil variano da un minimo del 9% dell’Estonia a un massimo del 103% del Belgio, mentre dal 2007 si riscontrano tassi di crescita mediamente molto elevati e fino a un massimo del 54% per Malta e del 49% per l’Irlanda. E allora, come mai i loro titoli pubblici non godono di giudizi più lusinghieri? Trattasi, ad eccezione del Belgio, di economie relativamente piccole, esposte considerevolmente alla congiuntura internazionale e la cui crescita appare spesso trainata da fattori instabili, come sarebbe il turismo a Malta o i flussi di capitali in Irlanda. Ad ogni modo, si mostrano debitori abbastanza solidi.

Dalla A alla B

Di seguito, troviamo un duo: Spagna e Slovenia. Mantengono un piede in “A e un altro in “B”. Insomma, sono emittenti relativamente solidi, per quanto non irresistibili, con livelli di indebitamento medio-alti (al 98% in Spagna e al 74% in Slovenia) e una crescita dell’economia rispetto al 2007 non esaltante, pari a 5 punti e 6,5 punti al 2017.

Negli ultimi anni, però, tra accelerazione della crescita economica e riduzione del deficit, la tendenza fiscale si mostra in miglioramento.

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E dopo ancora ci siamo noi, l’Italia. Siamo stati retrocessi in “B” e nella fascia più bassa di questa categoria. Di fatto, siamo l’unico stato membro dell’Eurozona a rischiare al momento di finire insieme agli emittenti “spazzatura”. La nostra peculiarità è tutta negativa: debito pubblico sopra il 130% del pil e livelli di pil ancora negativi rispetto al 2007 (-4,5% al 2018). Dunque, non solo abbiamo uno stock di debito elevatissimo da rifinanziare annualmente, ma per giunta lo si deve rapportare a un denominatore che si contrae, anziché aumentare. Ciò aggrava la percezione del rischio per i nostri BTp.

Italia risucchiata verso il basso

Infine, gli emittenti “junk”: Portogallo, Cipro e Grecia. Hanno rating inferiori a “BBB-“, il livello minimo per rientrare nell’area “investment grade”. Il caso di Atene è il più grave, perché il paese ha ristrutturato il suo debito nel 2012, tagliandolo di 107 miliardi di euro e ha necessitato di ben tre salvataggi della Troika (UE, BCE e FMI), godendo di condizioni finanziarie notevolmente favorevoli e malgrado tutto ciò continua a mostrare un rapporto debito/pil superiore al 180%, anche a causa di un pil crollato del 25% reale dal 2007. Viceversa, Lisbona e Nicosia sono di poco cresciute rispetto al 2007 e stanno assistendo a un calo dell’indebitamento, grazie al visibile miglioramento della loro congiuntura negli ultimi anni.

Per concludere, Fitch ci ha pure risparmiato l’ennesimo declassamento sovrano, consentendo ai nostri BTp di rifiatare stamattina, a conferma di come il mercato avesse scontato proprio lo scenario negativo. Tuttavia, non facciamoci illusioni, perché i fondamentali non solo non autorizzano a stare sereni, ma anzi inquietano per l’ormai probabile retrocessione tra i “junk” da qui al medio termine.

Saremmo l’unica grande economia occidentale ad essere giudicati “spazzatura” sui mercati finanziari. E non sarebbe solo un problema di orgoglio, quanto di impatto; perché una cosa è che ad essere declassato ad emittente speculativo sia uno stato di piccole dimensioni e con un mercato del debito insignificante e/o poco liquido, come nei casi sopra citati, un’altra che lo sia una delle economie del G7 con uno dei mercati sovrani più grandi al mondo. Forse, più per paura delle conseguenze per l’intera stabilità finanziaria del pianeta che non per la reale affidabilità creditizia percepita, le agenzie di rating stanno frenando su nuovi “downgrade”. Gli investitori, invece, sembrano essersi portati avanti con il lavoro, se è vero che ormai i nostri BTp rendono più dei titoli portoghesi, nonostante formalmente vantino ancora un giudizio superiore.

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