E’ arrivato il giorno del giudizio per i nostri BTp. Stasera, a mercati chiusi, l’agenzia Fitch aggiornerà il suo rating sul debito sovrano italiano, ad oggi pari a “BBB” con outlook negativo. Le possibilità sarebbero o di un mantenimento del giudizio attuale o di un “downgrade” di uno o più gradini. Dovremmo sperare che, nel caso peggiore, il declassamento si limiti a un solo gradino, ovvero a non meno di “BBB-“, che è anche l’ultimo livello utile di “investment grade”.

Se, infatti, l’agenzia abbassasse il rating a “BB+”, il nostro debito diverrebbe automaticamente speculativo, nel senso che non sarebbe più considerato emesso da un soggetto sicuro e, pertanto, sui mercati scatterebbe la corsa a venderlo da parte dei fondi, specie quelli di natura previdenziale, che per statuto possono investire solo in titoli del debito “investment grade”. Vero è che nel frattempo arriverebbero probabilmente acquisti dai fondi speculativi, ma ciò lascerebbe i BTp in balia di operazioni volatili, con la conseguenza che i rendimenti non farebbero che lievitare, creando contraccolpi ai conti pubblici ed effetti potenzialmente devastanti per la solidità finanziaria nazionale.

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I rendimenti a 10 anni sono già nettamente saliti a febbraio, portandosi al 2,87% di oggi e segnalando una ripresa dello spread BTp-Bund fin sopra i 275 punti base, anche per via del calo dei rendimenti tedeschi ai minimi da quasi 2 anni e mezzo. Non è stata solo l’attesa per Fitch ad avere stimolato le vendite dei nostri bond sul mercato secondario. Alla fine di gennaio, l’Istat ha certificato l’ingresso ufficiale dell’economia italiana nella recessione “tecnica”, dopo che il pil nel quarto trimestre si è contratto dello 0,2% rispetto al terzo, quando a sua volta era diminuito dello 0,1%. La produzione industriale, gli ordini e il fatturato sono tutti in forte calo come non succedeva da anni, risentendo in misura accentuata del rallentamento economico in corso nell’Eurozona, tra cui nella stessa Germania, dove il pil per un soffio ha schivato la recessione a fine 2018, rimanendo stabile rispetto al terzo trimestre.

I conti pubblici italiani non rassicurano, non tanto per il livello relativamente contenuto del deficit, fissato per quest’anno al 2% del pil, quanto per la cronica assenza di crescita di quest’ultimo. Si consideri che a rallentare è anche l’inflazione, che a gennaio su base annua è scesa in Italia allo 0,9%. Il governo Conte l’ha stimata all’1,6% per l’intero 2019, ma ad oggi sembra improbabile che anche questo target venga centrato e ciò contribuirebbe a ridurre il tasso di crescita del pil nominale, a tutto svantaggio del rapporto deficit/pil e debito/pil. Quest’ultimo, ancora sopra il 130%, impensierisce non poco gli investitori.

Cosa accadrà con Fitch stasera?

Verosimilmente, Fitch declasserà stasera i BTp a “BBB-“. Non sarebbe una tragedia, visto che si andrebbe ad aggiungere alla stessa valutazione di Moody’s, che ha espresso sul nostro debito sovrano un giudizio “Baa3” con outlook stabile, mentre per il momento più generosa sembra essere S&P con “BBB” e outlook negativo. A rigore, non basterebbe il declassamento a “spazzatura” o “junk” di una sola agenzia per farci sprofondare formalmente tra gli emittenti speculativi. La BCE, ad esempio, prevede per il suo “quantitative easing” di potere acquistare titoli “investment grade”, considerati tali fino a quando almeno uno delle quattro agenzie di riferimento (oltre alle suddette tre, la canadese Dbrs) ne mantenga il giudizio.

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Lo stesso accadrebbe per i fondi privati, sebbene lo shock avrebbe un impatto psicologico profondo tra gli investitori, facendo scattare la corsa a vendere, in previsione degli altri successivi “downgrade”.

Oltre tutto, sui mercati da anni sembra essersi innescato un circolo vizioso, se vogliamo un corto circuito, tra agenzie di rating e investitori. Le prime tendono a valutare la solidità dei titoli sovrani sulla base del grado di fiducia che essi riscuotono tra i secondi, ma questi a loro volta acquistano o vendono in considerazione proprio dei rating assegnati. In altre parole, non si capisce realmente se la bassa valutazione dei nostri bond oggi sia dovuta più all’analisi dei fondamentali macro o come reazione alle vendite copiose sui mercati sin dal 2011. Sembra che agenzie e investitori s’inseguano a vicenda in una corsa al ribasso, che penalizza fortemente i nostri bond, tanto che oggi i nostri decennali non appaiono molto sostanziosi solo con riferimento ai Bund, bensì persino ai Bonos emessi dalla Spagna, i quali rendono molto meno della metà. Gli stessi titoli del Portogallo non arrivano all’1,50%, nonostante Lisbona sia stata oggetto di un salvataggio internazionale meno di 8 anni fa.

Che il mercato stia scontando una decisione negativa non implica che lo spread BTp-Bund non ne risentirebbe negativamente nel caso di declassamento. Anzi, probabile che ci ritroveremo, almeno temporaneamente dal lunedì prossimo a un differenziale in area 300 punti, con il BTp a 10 anni a variare intorno al 3% o poco più, a tutto sostegno dei titoli tedeschi, la cui natura di “porto sicuro” agirebbe in senso ancora più depressivo sui relativi rendimenti. Difficile per il momento che si scateni una vera tempesta finanziaria contro i nostri bond, essendo i mercati in attesa di una nuova asta T-Ltro della BCE entro metà anno, la quale inietterebbe liquidità alle banche dell’Eurozona, creando potenziale domanda per i bond. E non bisogna farsi confondere dai livelli assoluti apparentemente accettabili dei nostri rendimenti sovrani, che pur essendo ancora una frazione rispetto a quelli esitati all’apice della crisi dello spread, appaiono sempre più sconnessi dal resto dell’Eurozona e ormai assimilabili sostanzialmente solo a quelli della Grecia.

Nel 2011-’12, il “sell-off” era scattato ai danni di tutta la periferia dell’area. Questo ci fa capire quanto solo i nostri titoli siano già trattati negativamente sul mercato, a metà tra titoli solidi e “spazzatura”.

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