Ha vinto a sorpresa il ballottaggio di due domeniche fa contro lo sfidante sovranista George Simion, ma adesso si ritrova a gestire una situazione dei conti pubblici al collasso. Il nuovo presidente della Romania è ufficialmente Nicusor Dan dalla giornata di ieri, quando si è celebrata la cerimonia d’insediamento. Nel suo discorso davanti al Parlamento in sessione congiunta, ha invitato i cittadini a “mettere pressione sullo stato per le riforme” e ha rimarcato la necessità di “cambiamenti fondamentali entro lo stato di diritto”.
Presidente Romania senza maggioranza in Parlamento
Al di là delle parole di rito, il nuovo presidente della Romania ha dinnanzi a sé una situazione molto complicata.
In Parlamento non gode di alcuna maggioranza. Sono solo due i partiti che lo sostengono esplicitamente: i Liberali del PNL e l’Unione Salva Romania di USR. Il Partito Socialdemocratico deve ancora decidere se appoggiarlo o andare all’opposizione. Dopo tutto, l’ormai ex sindaco di Bucarest non era un sostenitore dei precedenti equilibri politici. Anzi, si era candidato contro di essi. E un terzo dei seggi è in mano alla destra sovranista, che reclama la vittoria e sostiene di essere vittima di presunti brogli elettorali.
Deficit alle stelle
Il presidente vorrebbe nominare a capo del prossimo governo in Romania l’ex presidente ad interim Ilie Bolojan. Gli serve un uomo capace di interloquire con il grosso dei partiti, perché i conti pubblici sono allarmanti. Il 2024 si è chiuso con un deficit al 9,4% del Pil. Per quest’anno l’obiettivo ufficiale di Bucarest sarebbe di abbassarlo al 7%, ma stimando una crescita economica del 2,5%. Obiettivo irrealistico per lo stesso Dan, secondo cui si può ambire “realisticamente al 7,5%”. L’Unione Europea non ci crede e stima l’8,6% per quest’anno e l’8,4% per il 2026.
Bisogna capire come il presidente voglia tendere alla riduzione del disavanzo fiscale. Egli ha ribadito l’opposizione all’aumento delle tasse, come da promessa elettorale. Questo implica che dovrà necessariamente puntare tutto sul taglio della spesa pubblica, augurandosi che nel frattempo la crescita del Pil sia solida. Ma è stata di appena lo 0,9% nel 2024 e per quest’anno la Commissione europea prevede un’accelerazione all’1,4%, insufficiente a garantire un aggiustamento fiscale visibile.
Debito pubblico quasi junk
Dan non può permettersi di fallire. La sua vittoria quasi miracolosa non può celare un’opinione pubblica lacerata dopo mesi di veleni e polemiche per l’annullamento delle elezioni presidenziali a dicembre dopo che il primo turno era stato vinto dal sovranista Calin Georgescu. Rischia l’impopolarità con una politica del rigore. D’altra parte, essa risulta necessaria per ottemperare al Patto di stabilità, secondo cui il deficit massimo non può eccedere il 3% del Pil. Bucarest è sotto procedura d’infrazione e di questo passo ci resterà a lungo. In gioco ci sono i fondi comunitari, determinanti per lo sviluppo dell’economia.
E Dan non può nemmeno indispettire i mercati. Le agenzie di rating assegnano ai titoli del debito valutazioni a ridosso dell’area “junk” o “spazzatura”: BBB- per S&P e Fitch, Baa3 per Moody’s.
In tutti e tre i casi, l’outlook è “negativo”. Ciò implica il rischio di uno o più declassamenti entro i prossimi mesi. Sarebbe un colpo durissimo per la credibilità del nuovo presidente della Romania e per la sua capacità di migliorare i conti pubblici. Già i rendimenti dei bond sono elevati. Il decennale in valuta locale offre il 7,50%, il 5% in più di un Bund di pari durata. L’emissione in euro rende il 6,35%, a premio di 385 punti o 3,85% sull’omologo tedesco.
Nuovo presidente Romania non può fallire
Dopo le elezioni i rendimenti sono scesi e i prezzi si sono riportati ai massimi da diverse settimane lungo la curva delle scadenze. Il mercato sta concedendo un po’ di fiducia al nuovo presidente della Romania. Il difficile arriva con la nomina del governo e le scelte che dovrà effettuare per riportare il bilancio verso una china sostenibile. Se anche il target poco credibile del 7% venisse centrato, il deficit resterebbe fin troppo elevato e a fronte di incertezze internazionali tali da minacciare la crescita del Pil nei prossimi trimestri. Il fallimento della neonata presidenza è un lusso che l’establishment nazionale ed europeo non può permettersi.