Con il termine “lavoro notturno” si fa riferimento a tutte quelle attività professionali che vengono svolte da un soggetto durante le ore della notte. Per il tipo di sacrificio (fisico e psicologico) che questo tipo di impiego comporta, la legge riconosce particolari tutele ai lavoratori notturni: da una retribuzione più alta a esenzioni specifiche per le categorie più “sensibili”. Vediamo nel dettaglio cosa prevede la normativa.

Lavoro notturno: definizione e normativa di riferimento

La normativa di riferimento quando parliamo di lavoro notturno è contenuta nel decreto legislativo n.66 del 2003, testo con il quale sono state attuale le direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, entrato in vigore il 29 aprile dello stesso anno.

Ed è proprio il dl 66/2003, all’art. 1, che ci da la definizione esatta di lavoro notturno, facendo rientrare in queste categorie tutte le attività lavorative svolte per un “periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino“. Sempre nello stesso decreto, inoltre, viene definito lavoratore notturno: “qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale” e “qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro”. Inoltre, viene aggiunto: “In difetto di disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all’anno” con “il suddetto limite minimo riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale“.

Come si evince, quindi, non è necessario rendere servizio tutte le sere per sette ore consecutive dopo la mezzanotte per essere considerato lavoratore notturno. Quando una buona parte della propria attività viene svolta durante l’orario notturno, infatti, essa viene rimandata alla disciplina prevista per i lavoratori notturni, lasciando – quando possibile – ambiti di manovra e intervento alla contrattazione collettiva.

In linea generale, comunque, dottrina e giurisprudenza hanno individuato tre fasce orarie di riferimento per il lavoro notturno, ovvero:

  • Dalle ore 22:00 alle 05:00 del mattino
  • Dalle ore 23:00 alle 06:00 del mattino
  • Dalle ore 24:00 alle 07:00 del mattino

Pertanto, un soggetto che svolge almeno tre ore di lavoro nelle suddette fasce orarie, o anche “una parte” di ore più cospicua (che può essere stabilita dai CCNL), può essere definito a pieno titolo un lavoratore notturno. Quest’ultimo, di conseguenza, avrà diritto a tutte le tutele a norma di legge.

Per quanto riguarda i riposi, infine, il decreto legge 66/2003 riconosce al lavoratore, come suo diritto, un riposo settimanale ogni sette giorni cui durata sia pari ad almeno ventiquattro ore consecutive (che si sommano alle undici di riposo giornaliero).

Limiti e tutele per i lavoratori notturni

Il lavoro notturno, proprio per il tipo di impegno fisico e mentale che richiede, è considerato un lavoro usurante. A chi esercita tali attività durante la maggior parte della propria vita lavorativa l’Inps riconosce tutta una serie di benefici e agevolazioni, come la pensione anticipata, diversi rispetto a quelli previsti per la generalità dei lavoratori.

Tale regime agevolato, come accennato, si applica però a quei professionisti che possono far valere una certa prevalenza nel lavoro notturno (per il computo del periodo si terrà conto dei giorni e delle ore di lavoro svolti durante le fasce orarie notturne).

Trattandosi di un lavoro usurante, inoltre, è importante che venga rilevata l’idoneità della persona a svolgere quella determinata mansione. Nello specifico, l’inidoneità al lavoro notturno può essere accertata solo attraverso le competenti strutture sanitarie pubbliche (dl 66/2003, art. 11).

Vi sono quindi dei limiti che devono essere rispettati quando si tratta di lavoro notturno. I contratti collettivi, infatti, sono tenuti a stabilire i requisiti dei lavoratori che possono essere esclusi dall’obbligo di effettuare questo tipo di attività usurante, oltre che prevedere modalità e specifiche misure di prevenzione.

In ogni caso, la legge vieta di adibire al lavoro notturno (dalle ore 24 alle 6):

  • le donne in stato di gravidanza, dall’accertamento dello stato interessante e fino al compimento di un anno di età del bambino;
  • la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa;
  • la lavoratrice o il lavoratore che sia l’unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni;
  • la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un disabile ai sensi della legge 104/1992.

Tali limitazioni, ovviamente, servono per proteggere tutti quei soggetti che (per questioni personali, fisiche o di salute) risultano non essere idonee al lavoro notturno. Non è una facoltà escludere queste persone dai turni di lavoro notturni, ma un obbligo di legge che agisce a salvaguardia dell’individuo.

La normativa, ovviamente, non si limita ad escludere chi non risulta essere idoneo, ma definisce anche la gestione e l’organizzazione di chi è nella condizione di poter lavorare di notte, in modo tale da salvaguardare la salute psicofisica di chi svolge prestazioni di lavoro notturno.

A tal proposito, come stabilito dal decreto legislativo 66/2003, all’art. 14: “la valutazione dello stato di salute dei lavoratori addetti al
lavoro notturno deve avvenire attraverso controlli preventivi e periodici adeguati al rischio cui il lavoratore è esposto, secondo
le disposizioni previste dalla legge e dai contratti collettivi”. E ancora: “durante il lavoro notturno il datore di lavoro garantisce, previa informativa alle rappresentanze sindacali, un livello di servizi o di mezzi di prevenzione o di protezione adeguato ed equivalente a quello previsto per il turno diurno”. Per questo motivo, un’azienda che decide di ricorrere a turni di lavoro notturno è tenuta ad attrezzarsi con “appropriate misure di protezione personale e collettiva”, garantendo sempre il rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro.

Lavoro notturno: durata, modalità di organizzazione e obblighi del datore di lavoro

Il confronto con i sindacati, mirato a informare i rappresentanti dei lavoratori in merito alle misure di prevenzione e protezione prese all’interno di un’azienda che ricorre al lavoro notturno, viene disciplinato dall’art. 12 del già citato dl 66/2003, dove viene specificato che: “L’introduzione del lavoro notturno deve essere preceduta, secondo i criteri e con le modalità previsti dai contratti collettivi, dalla consultazione delle rappresentanze sindacali in azienda, se costituite, aderenti alle organizzazioni firmatarie del contratto collettivo applicato dall’impresa. In mancanza, tale consultazione va effettuata con le organizzazioni territoriali dei lavoratori come sopra definite per il tramite dell’Associazione cui l’azienda aderisca o conferisca mandato”. La consultazione, comunque, va effettuata e conclusa entro un periodo di sette giorni.

Obbligo del datore di lavoro, a tal proposito, è quello di informare per iscritto i servizi ispettivi della Direzione provinciale del lavoro competente per territorio, con periodicità annuale. Tale comunicazione deve contenere la descrizione della esecuzione di lavoro notturno svolto in modo continuativo o compreso in regolari turni periodici e va estesa alle organizzazioni sindacali, anche tramite il conferimento di apposito mandato da parte dell’azienda all’associazione sindacale a cui aderisce il datore di lavoro.

Va ricordato, comunque, che i turni dei lavoratori notturni non possono superare – mediamente – otto ore sulle ventiquattro totali della giornata, salva l’individuazione da parte dei contratti collettivi o aziendali, di un periodo di riferimento più ampio, per cui calcolo vale comunque tale limite.

Retribuzione lavoro notturno e possibilità di di trasferimento e impiego in orari diurni: cosa prevede la normativa

Alla contrattazione collettiva è affidata anche l’eventuale riduzione dell’orario di lavoro (meno delle otto ore su ventiquattro previste), così come l’individuazione di trattamenti economici indennitari nei confronti dei lavoratori notturni (art. 13, dl 66/2003). Solitamente, infatti, ai lavoratori notturni viene riconosciuta una retribuzione più alta, proprio per il tipo di sacrificio richiesto, con maggiorazioni previste direttamente dai CCNL. Si tratta di importi maggiori del 20-30% rispetto allo stipendio base erogati direttamente in busta paga, ma anche in questo caso i contratti collettivi di categoria possono prevedere percentuali diverse (in melius).

Un trattamento retributivo maggiore spetta anche al momento del calcolo e dell’erogazione del TFR, mentre se il lavoro notturno viene svolto in giornate festive al lavoratore spetta un’indennità pari al 60% dello stipendio base (che in caso di riposo compensativo è ridotta al 35%).

Infine, qualora sopraggiungano condizioni di salute che comportino l’inidoneità alla prestazione di lavoro notturno (che come l’idoneità deve essere accertata dal medico competente o dalle strutture sanitarie pubbliche) il lavoratore può essere assegnato a turni di lavoro diurni. Il trasferimento, comunque, garantisce al lavoratore l’impiego in altre mansioni equivalenti, se esistenti e disponibili.