Il debutto di Letizia Moratti come assessore al Welfare della Regione Lombardia non ha deluso le aspettative. E’ stato chiacchierato, non per i buoni risultati che nei primi giorni di incarico sta dimostrando sul piano delle vaccinazioni. In pochi giorni, i tassi di somministrazione delle dosi sono saliti intorno alla media nazionale dopo un avvio alquanto ritardato e lento. No, a fare discutere è stata una proposta lanciata l’altro ieri al governo nazionale: le dosi del vaccino anti-Covid dovrebbero essere distribuite alle regioni sulla base del PIL prodotto in un anno.

In pratica, le regioni più ricche dovrebbero vaccinare prima di quelle più povere.

La risposta del ministro alla Salute, Roberto Speranza, non si è fatta attendere ed è stata un secco diniego: “Tutti hanno diritto al vaccino indipendentemente dalla ricchezza del territorio in cui vivono”. La replica della Moratti, se vogliamo, è stata la classica pezza peggiore del buco: “il concetto non è dare più vaccini alle regioni più ricche, ma se si aiuta la ripresa della Lombardia, si contribuisce in automatico alla ripresa dell’intero Paese”.

Un esordio antipatico agli occhi dei restanti 50 milioni di italiani, che evidentemente per la signora Moratti avrebbero diritto a vaccinarsi dopo i lombardi in quanto contribuiscono meno al PIL. La verità è che la proposta dell’assessore e già ministro dell’Istruzione del governo Berlusconi tra il 2001 e il 2006 avrebbe qualche fondamento “scientifico”, se solo venisse spiegata in maniera intelligente, non divisiva e magari rivista in ottica perequativa tra le regioni.

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Covid e PIL, ecco com’è andata

Spieghiamoci meglio. La Lombardia è stata la regione più colpita d’Italia nel corso della prima ondata dei contagi Covid. A distanza di 11 mesi dalla scoperta della pandemia nel nostro Paese, risulta superata per numero di positivi rispetto alla popolazione da Veneto, Valle d’Aosta e Trentino-Alto-Adige con rispettivamente: 6,1, 6,1 e 5,5 casi ogni 100 abitanti contro 5,1.

A seguire troviamo il Friuli-Venezia-Giulia con 5, Piemonte con 4,9, Emilia-Romagna con 4,5 e Liguria con 4,3. Cosa accomuna tutte queste realtà? Stanno tutte al nord e risultano in alto nella classifica nazionale per contributo al PIL.

Il Covid-19 ha colpito, quindi, le aree più ricche d’Italia. Qualcosa di simile è accaduto anche all’estero, come in Inghilterra, Francia, Spagna e USA. Come mai? E qui, ci vengono in soccorso gli altri tre criteri che erano stati individuati dalla stessa Moratti e che per la stampa sono rimasti in secondo piano, ovvero mobilità, densità abitativa e maggiore concentrazione dei contagi. Non è un mistero, infatti, che laddove si crea maggiore ricchezza, cioè si produce, la gente sia costretta a muoversi di più, ad assembrarsi e a concentrarsi in spazi relativamente ridotti. Milano è più piccola di Catania, ma ha una popolazione di 4 volte maggiore. Questo crea inevitabilmente rischi più alti nel capoluogo lombardo rispetto a una città di pari dimensioni e molto più povera.

La logica di legare le vaccinazioni al PIL sarebbe questa: poiché sono le zone più ricche ad essere principale sede di focolai del virus, meglio spegnere l’incendio in esse prima che le fiamme si spargano altrove, bruciando tutto. Ma c’è il rovescio della medaglia. Se accettassimo un simile discorso, gli abitanti delle regioni meridionali dovrebbero vaccinarsi dopo, come dire che un anziano al sud possa anche essere sacrificato nell’attesa che si vaccinino prima i suoi coetanei del nord. I calabresi dovrebbero rassegnarsi a ricevere le dosi dopo molto mesi dei lombardi e degli emiliani, tanto per fare un esempio.

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Cosa farne della proposta Moratti

La soluzione prospettata dalla Moratti, pertanto, è da respingere così com’è stata avanzata.

Invece, dovrebbe essere la base di un ragionamento meno prevenuto all’interno di ciascuna regione. Applicando i suddetti criteri della densità abitativa, dei casi e del PIL, che sono quelli maggiormente e facilmente misurabili, sarebbe opportuno che ciascuna regione provvedesse a distribuire le dosi in modo da favorire le province più a rischio. Ad esempio, in Sicilia i tre quarti dei casi, se non di più, si concentrano tutti nel triangolo Catania-Messina-Palermo, che non a caso coincide grosso modo con l’area più ricca, abitata e dalla maggiore mobilità di tutta l’isola. Se gli abitanti di queste zone venissero vaccinati più rapidamente, nei fatti la regione si libererebbe prima del Covid, rispetto a uno scenario in cui le vaccinazioni venissero implementate in maniera equa sul territorio.

In sostanza, se ogni regione utilizzasse i dati del PIL e della densità abitativa, in particolare, come criteri di riferimento per stabilire chi possa vaccinarsi prima, i focolai verrebbero tendenzialmente circoscritti e spenti in anticipo. Non ci sarebbero discriminazioni tra nord e sud, tra regioni ricche e regioni povere, ma più semplicemente una distribuzione più logica all’interno di ciascuna regione. Nessuno griderebbe allo scandalo, probabilmente. La Moratti, invece, avrebbe dovuto riflettere prima di parlare, perché in un anno in cui contro la Lombardia si è sentenziato oltremisura e con toni indecorosi, le sue parole hanno avuto l’effetto di rinvigorire tensioni inutili e dannose e, soprattutto, di dare fiato a chi all’indomani di Codogno puntava il dito contro la presunta aria di superiorità che la classe dirigente lombarda si sarebbe data nei decenni, irridendo le basi fragili su cui tale atteggiamento si sarebbe retto. Insomma, quando c’è di mezzo la salute, la politica dovrebbe contare fino a 100 prima di aprire bocca.

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