All’inizio di maggio, il ministro del Turismo di Cuba, Manuel Mannero, annunciava il superamento dei 2 milioni di visitatori stranieri sull’isola con 39 giorni di anticipo rispetto allo scorso anno, quando in tutto sono arrivati 4 milioni di turisti. Per quest’anno, le previsioni sono per una crescita a 4,1 milioni. Alla fine di marzo, il 45% degli stranieri che avevano messo piede su Cuba proveniva da Canada e USA. E proprio l’America rappresenta per l’isola una fonte di possibile boom per la sua industria turistica.

Secondo Boston Consulting, da qui al 2025 il numero dei turisti americani potrebbe moltiplicarsi per sette dai 285.000 dello scorso anno, mentre il Brookings Institute prevede che entro il 2030 il numero dei turisti all’anno a Cuba possa arrivare a 12 milioni. Di fatto, l’isola avrebbe le potenzialità per diventare la seconda meta dell’area, dopo il Messico.

Considerando che nel 2016, le entrate derivanti dal turismo sarebbero state 9 miliardi di dollari, il 10% del pil e occupando mezzo milione di lavoratori, la crescita del turismo potrebbe rappresentare per L’Avana l’atteso rilancio dell’economia, stagnante da anni per assenza di riforme. Facile abbandonarsi agli entusiasmi, la realtà è più complicata di quello che appare. (Leggi anche: Cuba si prepara a sganciarsi dal Venezuela)

Cuba non apre ai turisti americani

Partiamo da un dato: Barack Obama ha rimosso l’embargo contro Cuba nel 2015, avviando una fase di normalizzazione delle relazioni diplomatiche, per quanto la nuova amministrazione Trump minacci di interromperla, se sull’isola non verranno rispettati i diritti umani. Tuttavia, il governo cubano impone agli americani in ingresso sull’isola di spuntare una delle dodici voci previste e ciascuna corrispondente a una motivazione specifica.

Praticamente, sul piano teorico non esiste la possibilità per un turista americano di recarsi a Cuba per godersi le spiagge e le bellezze del luogo, ma solo per incontrare familiari, per svolgere la professione di giornalista, per fare esperienze diverse, etc.

Accanto a questo primo ostacolo di tipo burocratico, si registra un calo di interesse tra gli americani. (Leggi anche: Recessione economica a Cuba, nonostante fine dell’embargo USA)

Ricezione a Cuba non all’altezza

Secondo un sondaggio realizzato da Allianz Global Assistance, il 76% degli intervistati negli USA non prenderebbe in considerazione di viaggiare a breve a Cuba, una percentuale in crescita dal 70% del 2016. Alla base del calo vi sarebbe la percezione di una scarsa qualità dell’industria turistica cubana, oltre che la carenza infrastrutturale.

In effetti, sono proprio questi i problemi principali del turismo a Cuba. Stanze sporche, hotel spacciati per cinque stelle, ma con servizi scadenti, wifi inaccessibile, docce rotte, etc. D’altronde, gran parte degli alberghi è ancora oggi di proprietà statale e la gestione risulta alquanto inefficiente. (Leggi anche: Cuba apre agli investimenti esteri)

Catene alberghiere puntano sullo sviluppo dell’offerta

Proprio in considerazione di tali carenze, a fronte delle enormi potenzialità, centinaia di rappresentanti di altrettante catene alberghiere hanno fatto ieri il loro arrivo a L’Avana per una due giorni dedicata a trovare soluzioni idonee su come sfruttare al meglio le opportunità di business che si spalancano dinnanzi ai loro occhi. Serve diversificare l’offerta, creare servizi per una clientela di lusso, parchi tematici, campi da golf, etc.

Fino alla primavera prossima, quando il presidente Raul Castro, fratello dello scomparso Fidel, effettuerà il passaggio di consegne a un successore ancora non ufficialmente designato, nessuno realisticamente si aspetta riforme economiche che vadano nella direzione auspicata. L’economia cubana è in sofferenza, anche a causa del crollo del Venezuela, che la rifornisce di petrolio semi-gratuito. La Russia ha dovuto per la prima volta dalla caduta dell’Urss inviare la settimana scorsa un carico di greggio sull’isola, che altrimenti sarebbe rimasta senza sufficiente energia per far funzionare anche i servizi più elementari.

(Leggi anche: Cuba torna ai tempi dell’Urss: Putin rimpiazza il Venezuela sul petrolio)

Serve un altro modello economico

Il deficit pubblico è stimato al 12% del pil, per cui un boom dell’industria del turismo sarebbe più che gradito. Eppure, non è detto che porti i risultati sperati. La gestione dell’economia è ancora molto dirigistica: i dollari che fluiscono dall’estero vengono convertiti alla pari con un’unità di CUC, mentre un peso ordinario, valido per gli scambi interni, sarebbe pari 1/24 di dollaro.

La tassazione dei ricavi superiori ai 2.000 dollari è del 50%, mentre ancora oggi un’impresa straniera deve passare per un’agenzia governativa, al fine di assumere un lavoratore cubano. Alla prima va il 95% dello stipendio, al secondo solamente il 5%. Naturale che vi siano scarsi impulsi ad essere produttivi. Mediamente, un lavoratore viene retribuito qui con 25 dollari al mese, quando in poche ore un tassista o un qualsiasi altro addetto nel settore turistico sfuggente alle rigide norme locali riescono a guadagnare anche 40-50 dollari. Sarebbe il turismo la miniera d’oro del popolo cubano, ma non viene consentito loro di sfruttarla e né lo stato ha soldi sufficienti per renderla usufruibile con infrastrutture adeguate all’arrivo di milioni di nuovi visitatori ogni anno.