Il flop di Superlega è stato clamoroso, immediato e rovinoso per i suoi protagonisti. Ma se ha avuto un merito, è stato di avere fatto emergere con nitidezza la crisi del calcio europeo. E non è un caso che da giorni si scriva apertamente di possibile tetto agli stipendi dei giocatori. Il dato che dovrebbe farci riflettere riguarda la situazione patrimoniale delle società di calcio. Quelle dell’ormai defunta Superlega erano un’unione di debiti per ben 6 miliardi di euro, di cui 4 di natura finanziaria.

Se anche i club spagnoli scricchiolano al primo ripiegamento dei ricavi, capite bene che la proposta di introdurre un tetto agli stipendi non sia così peregrina come un tempo.

Anche in Serie A se ne discute informalmente da qualche anno, ma non si arriva mai a una conclusione. E il problema riguarda tutti i campionati. Ovunque, la questione è la stessa: se tetto agli stipendi deve essere, che sia imposto dalla UEFA. Non si tratta di lavarsene le mani, semmai di applicare meccanismi efficaci e non misure che si trasformino in boomerang.

L’industria del calcio europeo ha un problema di sostenibilità. In questi giorni di dibattito lacerante sulla Superlega, abbiamo scoperto che quelli che a noi gente del volgo sembravano essere i “troppi miliardi” che girano attorno alla Champions League, in realtà sarebbero pochi. Per avere un confronto, la National Football League incassa dai diritti TV 10,3 miliardi di dollari a stagione, più di 4 volte la nostra massima competizione europea. E a fronte di un decimo del pubblico di tifosi.

L’insufficienza del Fair Play Finanziario

Ma se i ricavi sono sottopotenziati, i costi corrono. Gli ingaggi dei calciatori sono diventati abnormi negli ultimi anni. La svolta è arrivata con gli sceicchi e qualche oligarca russo a capo dei club inglesi e francesi. Fiumi di denaro si sono riversati sul calcio europeo, gonfiando le valutazioni dei calciatori.

Improvvisamente, percepire anche 10 milioni netti a stagione è diventata roba da sfigati, da seconde linee. Da qui, la sensazione che un tetto agli stipendi sia divenuto necessario. Ma procediamo con ordine.

Stando al Fair Play Finanziario (FPF) della UEFA, le squadre non dovrebbero eccedere il 70% dei ricavi in stipendi. Tuttavia, non si tratta di una regola assoluta, bensì di una raccomandazione, perlopiù fatta valere nei casi di infrazione del FPF con i piani di rientro. Ma se una squadra o anche un intero campionato decidessero in autonomia di imporre a sé stessi un tetto agli stipendi, si legherebbero le mani senza avere più la possibilità di competere ai massimi livelli nel calcio europeo. Non ci sarebbero i soldi per acquistare i giocatori più costosi, che teoricamente sarebbero anche i più forti. E ciò impatterebbe negativamente sulle prestazioni e i risultati sportivi, con inevitabili ripercussioni negative sui ricavi. Insomma, si spende meno e si finisce per incassare meno.

Per questo, non ci sarà nessun campionato che mai possa applicare alle proprie squadre un tetto agli stipendi, perché semplicemente finirebbe per abbassarne la qualità. A dire il vero, la Liga ha introdotto il “salary cap” nel 2013, ma con i risultati che vediamo. Il flop deriva dalle maglie larghe della misura, tant’è che le principali squadre spagnole avrebbero modo di spendere fin quasi mezzo miliardo, pur comprensivo di ammortamenti, cessione dei diritti, etc. Ad esempio, il Real Madrid si potrebbe spingere fino a quasi 470 milioni di euro, a fronte dei 270 attuali di soli ingaggi. Il Barcellona fino a 383 rispetto ai 277. Insomma, il tetto agli stipendi in Spagna è poco restrittivo. Come introdurre una legge che consenta di guidare fino a 10 bicchieri di vino nello stomaco.

Tetto agli stipendi europeo

Come se ne esce? Solo la UEFA avrebbe la possibilità di imporre un tetto agli stipendi efficace.

Essendo una misura valida per tutta Europa, non ci sarebbe una squadra sfavorita rispetto all’altra o un campionato che rimarrebbe indietro. Attenzione, però, perché non è detto che funzionerebbe ugualmente. Se le limitazioni fossero imposte in termini percentuali sui ricavi, le grandi società continuerebbero a potersi permettere di spendere molto più di altre, falsando la competizione. In un certo senso, si potrebbe dire che sia giusto così: se sono più capace di fatturare, devo poter spendere di più per acquistare i giocatori. Ma se l’obiettivo è di riportare il calcio a una dimensione sostenibile e al contempo più competitiva, faremmo un probabile buco nell’acqua.

E allora, la soluzione potrebbe essere quella adottata dalla Nba: tetto agli stipendi in valore assoluto. A tutte le squadre UEFA verrebbe imposto un limite di tot euro per gli ingaggi. Esso dovrebbe risultare verosimilmente non troppo basso per non penalizzare i grandi club, né troppo alto per non risultare inefficace. Tenete conto che la Juventus spenda in stipendi 236 milioni di euro, similmente al PSG e poco meno delle due principali spagnole, ma più della media dei club inglesi, che generalmente si collocano sotto i 200 milioni.

Ecco, la soglia dei 200 milioni per i soli ingaggi risulterebbe ragionevole. Spingerebbe i grandi club spagnoli, la Juve e il PSG a moderare la loro politica salariale, riportando a livelli più sostenibili gli stipendi delle grandi stelle del calcio. Certo, dovremmo tenere conto anche dei costi dei cartellini, così come del pagamento di penalità monstre, come i 222 milioni versati dal PSG al Barcellona nel 2017 per prendersi Neymar. Tuttavia, il solo tetto agli stipendi sarebbe probabilmente capace di centrare l’obiettivo: non spendi centinaia di milioni per il cartellino di un giocatore a cui paghi uno stipendio moderato. E con il tempo gli stessi cartellini si sgonfierebbero, rispecchiando il valore di mercato dei giocatori, a sua volta riflesso negli stipendi.

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