Intervenendo al convegno di Confesercenti di ieri, il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha dichiarato due cose di assoluta importanza: la prima, che intende abrogare l’IMU sugli immobili commerciali sfitti e la seconda che, fosse per lui, non dovrebbe esserci alcun limite all’uso del contante. Attenzione, perché se la prima è sembrata una promessa sulle future azioni del governo, la seconda così non sarebbe, semmai capterebbe un suo desiderio. In effetti, il Movimento 5 Stelle dall’opposizione aveva inveito negli anni passati contro la decisione del governo Renzi di innalzare da 1.000 a 3.000 il tetto all’uso del contante sin dal 2016.

Un ripensamento, tuttavia, non sarebbe da escludere e per la stessa ragione che spinse l’allora premier del PD ad allentare la stretta sul cash.

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L’economia italiana è caratterizzata da una percentuale elevata di sommerso, stimata nel 14%, ovvero in qualcosa come 208 miliardi nel 2016. Circa l’86% delle transazioni effettuate avviene in contanti in Italia, sopra la media del 74% nell’Eurozona, ma che ci vede alla pari con la Germania, dove il contante ancora comanda e nessuno ipotizza di imporre alcun limite alla sua circolazione.

Il terrore non serve contro il sommerso

La stretta del 2012, quando fu vietato effettuare pagamenti in contanti sopra i 999 euro coincise, non a caso, con una drastica recessione dell’economia italiana. Sarebbe ingenuo e ipocrita non capire il perché. Milioni di famiglie italiane percepiscono redditi superiori a quelli dichiarati, come un’indagine recente dell’Università di Tuscia suggerisce attraverso l’analisi degli scostamenti tra redditi dichiarati e consumi, pari a quasi 100 miliardi. Il fenomeno si concentra al sud per varie ragioni: lavoro nero dilagante, criminalità, diffusa allergia al rispetto delle regole. Tutti problemi che bisogna combattere, ma partendo dalla radice, non dalla loro esternazione.

L’aver creato un clima di terrore contro i contribuenti-cittadini, con lo spionaggio dei conti correnti, blitz mediatici nelle località turistiche di lusso, pattugliamento nelle strade per scovare i proprietari di auto di grossa cilindrata e limitando i pagamenti cash non si è tradotto affatto in un miglioramento dell’etica tra gli italiani, bensì in una contrazione dei consumi e, di conseguenza, dell’economia italiana.

E dove c’è crisi, la criminalità si rafforza e il rispetto delle regole si affievolisce ulteriormente. E’ lo stesso ragionamento alla base della lotta all’evasione fiscale: far pagare tutti per pagare meno o pagare meno per fare pagare tutti? I giustizialisti con le tasche altrui sostengono la prima tesi, ma storicamente è stato dimostrato che si evade di meno dove il fisco appare più equo. Uno stato che fa pagare il giusto ai contribuenti è legittimato a dar seguito anche a sanzioni severe contro chi venisse pizzicato a fare il furbo. In Italia, non è un caso che all’elevata pressione fiscale corrisponda un lassismo pressoché totale della macchina giudiziaria.

Abolizione contante, quella crociata ideologica che serve solo a stato e banche

Ora, nessun leader politico, meno che mai se ricopre la carica di ministro dell’Interno, potrà mai dirlo apertamente, come nemmeno Matteo Renzi, che certo non è un tipo che le manda a dire, ebbe il coraggio di farlo tre anni fa, quando triplicò il limite massimo consentito per pagare in contanti; ma la verità è che la lotta al contante ha avuto effetti deleteri sull’economia italiana, che ricordiamo essere in misura non indifferente informale. Partendo dalla realtà e non dalla demagogia, nessun governo potrebbe sostenere convintamente provvedimenti eccessivamente rigorosi sull’obbligo di effettuare pagamenti tracciabili. Aldilà di questioni di libertà di scelta, qui è in gioco la sopravvivenza dell’economia italiana, che prima deve essere rilanciata per poi correggere diverse sue storture.

Liberiamo l’economia sommersa

E allora, bisogna avere il coraggio di dirlo: l’abolizione del tetto all’uso del contante deve essere realizzata per liberare il nero e farlo circolare liberamente nell’economia, traducendolo in consumi, investimenti e posti di lavoro. Dopodiché, unitamente a un condono sulla liquidità detenuta nelle cassette di sicurezza delle banche e stimata in 150 miliardi di euro e anche grazie alla “pace fiscale” per rottamare cartelle per circa 1.000 miliardi di euro, si potrà aprire una nuova pagina, con lo stato ad ammonire che stavolta chi sbaglia paga. I benpensanti si scandalizzeranno, ma esistono per questo. La realtà non è sempre come la si desidera e il mondo perfetto non esiste in nessun luogo e in nessuno tempo. Smettiamola con questa ipocrisia insopportabile, per cui il titolare di un bar dovrebbe essere sbattuto in galera se venisse sorpreso a non fare uno scontrino, mentre il grande capitale può dirottare nei cosiddetti paradisi fiscali miliardi alla luce del sole.

Del resto, se siamo arrivati a questo punto è anche e, soprattutto, per l’impostazione errata su cui si fonda il nostro sistema fiscale presente, non solo in Italia. Facendo gravare le imposte perlopiù sui redditi, gli stati ne disincentivano la produzione o la loro dichiarazione formale. Se, per ipotesi, esistesse una tassazione solo sui consumi, nessuno avrebbe qualcosa da nascondere e i contribuenti più ricchi pagherebbero ugualmente più tasse, consumando certamente di più di quelli meno fortunati. E semmai lo stato potrebbe sorvegliare sugli acquisti di valore ingente realizzati da alcune famiglie, in assenza di una corrispondenza con i redditi dichiarati, al fine di verificare se dietro non vi siano attività illecite. La stretta sul contante alimenta, invece, il sottobosco delle operazioni di raggiro dell’economia informale, non scalfendo affatto il nero e colpendo quella regolare, con consumi che languono e un gettito fiscale che di riflesso ne subisce il contraccolpo. Sciogliamo ogni vincolo all’uso del contante e lasciamo che i farisei del Grande Fratello fiscale si straccino le vesti.

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