L’euro si è apprezzato mediamente di circa il 6% quest’anno contro le altre valute, ma di ben il 12% contro il dollaro. Il cambio euro-dollaro arretra oggi dello 0,60%, scendendo sotto la soglia di 1,17, dopo che dalla BCE è stato fatto presente ieri che il governatore Mario Draghi non farà commenti sulla politica monetaria al simposio di Jackson Hole, negli USA. Smentite, quindi, le indiscrezioni di queste settimane, secondo le quali l’italiano avrebbe usato parole chiare sul “tapering”, il ritiro graduale degli stimoli monetari, atteso avviato sin dall’inizio dell’anno prossimo.

Gli esperti avvertono che un cambio euro-dollaro sopra 1,20 potrebbe impattare negativamente sull’economia dell’Eurozona, che nel secondo trimestre di quest’anno è cresciuta del 2,2% rispetto allo stesso periodo del 2016. Per fortuna, però, questo non sarebbe lo scenario atteso. Le previsioni parlano di un cambio euro-dollaro intorno a 1,15 a fine anno e forse anche per la fine del 2018. (Leggi anche: Con super-euro non tutte azioni in borsa sono uguali, ecco i titoli colpiti)

Esportazioni italiane colpite da super-euro?

Su quel che accadrà in futuro si vedrà, ma ci chiediamo se nel frattempo le esportazioni italiane rischino o meno di subire contraccolpi dal super-euro. La domanda è d’obbligo, perché Germania e Italia sono sia tra le economie maggiormente esportatrici del pianeta, sia tra quelle a vendere i proprio beni perlopiù al di fuori dell’Eurozona. Entrambi i paesi esportano verso i partner dell’unione monetaria tra il 36% e il 37% del valore complessivo.

L’Italia ha gli USA come primo mercato di sbocco per le sue merci fuori dall’area e in assoluto come secondo con il 10%, alle spalle della Germania (12%). Il Regno Unito con il 5,5% si situa al secondo posto, seguito dalla Svizzera con una quota di circa il 4,5%. E successivamente troviamo la Cina con quasi il 3%, nonché Turchia e Polonia con il 2,5% a testa ciascuna.

Per capire quale impatto potenziale possa avere l’apprezzamento dell’euro sull’export del made in Italy, risulta necessario esaminare le dinamiche per ciascun cross valutario. Contro la sterlina si è rafforzato quest’anno del 5,8%, contro il franco svizzero del 5,2%, contro lo yuan del 6,3%, contro la lira turca del 10% e contro lo zloty polacco si è indebolito del 3,4%. (Leggi anche: Super-euro fa sorridere Draghi, ecco perché a settembre non sarà tapering)

Quanto impatta il super-euro sul made in Italy

Ponderando per le percentuali di ciascun mercato di sbocco fuori dall’Eurozona delle nostre merci e tralasciando quelli minori, si trova che il rafforzamento dell’euro avrebbe pesato quest’anno sulle aziende italiane per una media di poco più del 2%. In sostanza, abbiamo dovuto fronteggiare mediamente un cambio solo appena più forte, non tale da incidere nettamente sul fatturato. E’ chiaro, però, che se un’azienda avesse concentrate le vendite sugli USA, il costo del super-euro per essa salirebbe, mentre se per ipotesi il suo unico mercato di sbocco fosse la Polonia, registrerebbe un cambio più favorevole. Per adesso, il made in Italy non sarebbe a rischio. Certo, se l’euro continuasse a rafforzarsi, la musica potrebbe cambiare, anche se non bisogna mai abbandonarsi a ragionamenti automatici.

Un euro più forte, ad esempio, rispecchierebbe un’economia dell’Eurozona più forte. Le aziende italiane potrebbero, quindi, approfittare della ripresa per esportare meno in economie come USA e Cina e più nelle vicine Germania e Francia, sempre che ciò sia possibile. Vedremo solo dall’anno prossimo quale sarà il trend. (Leggi anche: Boom esportazioni italiane compensa calo consumi)