Il cambio euro-dollaro ripiega oggi a poco sopra 1,17, continuando a guadagnare il 12% dall’inizio dell’anno. Ad oggi, nessun reale timore sulle ripercussioni per l’economia dell’Eurozona dall’apprezzamento del cambio, ma gli esperti ammoniscono che qualora dovesse salire stabilmente sopra 1,20, il pil nell’area potrebbe rallentare la sua crescita proprio adesso che sembra in fase di accelerazione. Il super-euro ha conseguenze anche sui mercati azionari, perché è noto come le variazioni dei tassi di cambio non siano neutrali per i conti delle società quotate.

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In generale, possiamo suddividere queste ultime in due grossi gruppi: quelle con un mercato di sbocco principalmente domestico o, comunque, nell’Eurozona e quelle con un fatturato perlopiù maturato al di fuori dell’Eurozona. Un euro più forte dovrebbe rafforzare i titoli azionari del primo gruppo e indebolire quelli del secondo, le cui vendite risultano orientate più verso i mercati stranieri extra-euro.

Quest’anno, l’indice europeo del comparto Oil & Gas ha ceduto l’11%, a fronte di un rafforzamento del cambio euro-dollaro di poco superiore. Si potrebbe sostenere che le azioni delle compagnie energetiche abbiano già grosso modo scontato l’effetto cambio, ma se si considera che nel frattempo le quotazioni del petrolio risultano scese del 10%, si capisce come non sarebbe affatto così.

A segnare una lieve contrazione è stato anche il comparto automobilistico, che ripiega di meno dell’1%, mentre gli altri grossi comparti produttivi segnano tutti una crescita, in qualche caso consistente. Il food & beverage, che risente molto dell’andamento economico generale, cresce di oltre il 9%, ma sono le utilities a registrare l’aumento maggiore con un ottimo +17%, seguite a ruota dalle banche con il +16,5% e dalle aziende farmaceutiche con il +13,5%. Molto bene anche le assicurazioni con il +8,5%, mentre le telecomunicazioni crescono meno del 3%.

Con super-euro, ecco i titoli che perdono

Se l’euro continuasse a rafforzarsi contro le altre valute, cosa dovremmo aspettarci? Dovremmo scontare un ripiegamento delle azioni delle società con una elevata percentuale di fatturato maturata in dollari, yen, franchi, sterline, etc, ma anche di quelle banche eventualmente sovra-esposte verso una clientela al di fuori dell’Eurozona, sebbene gli istituti tendano a prevenire perdite sul cambio con il ricorso a contratti di “hedging”.

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Un ragionamento per comparti, tuttavia, non sarebbe corretto. Ad esempio, una società con gran parte del fatturato in dollari potrebbe risentire del rafforzamento dell’euro da un lato, ma beneficiarne per le emissioni di obbligazioni in dollari, nel caso in cui queste avessero un elevato peso nel debito complessivo.

Andando a spulciare le singole grandi società quotate a Piazza Affari, dovremmo attenderci un calo dei prezzi per le azioni di colossi come Eni, Autogrill e Stm. Si pensi che i due terzi del fatturato del Cane a sei zampe si ha in dollari, anche se un eventuale aumento delle quotazioni del petrolio compenserebbe e finanche azzererebbe i contraccolpi del cambio. E la società italo-francese dei semi-conduttori ha un fatturato di appena l’1% in Italia e del 2% in Francia, mentre il 97% viene maturato nel resto del mondo, specie al di fuori dell’Eurozona, tanto che i suoi bilanci vengono redatti e pubblicati proprio in dollari.

A rischio anche il lusso made in Italy

Il lusso made in Italy dovrebbe subire anch’esso un contraccolpo dal super-euro, ma oltre agli USA, bisogna tenere in considerazione qui il peso crescente dei mercati di sbocco asiatici, come Cina, Russia e Giappone. Considerando che lo yuan risulti negli ultimi tempi debole di suo (-6,7% contro il dollaro nel 2016) e che lo stesso yen si stia deprezzando contro la moneta unica, ci sarebbero pochi margini per sperare sui cambi, anche se la scarsa elasticità dei relativi prodotti ai prezzi (a loro volta influenzati dal cambio) potrebbe sostenerne i corsi, se la domanda continuasse a crescere in questa parte del pianeta attratta dal bello italiano.

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Riassumendo: con il tendenziale rafforzamento dell’euro, bisognerebbe puntare sulle società più concentrate sul mercato domestico o dell’Eurozona, mentre si dovrebbero sotto-pesare i titoli delle società esportatrici nelle Americhe, in Asia e persino in realtà europee, come il Regno Unito, dove la sterlina resta in calo del 6% quest’anno e di quasi il 16% rispetto al periodo precedente al referendum sulla Brexit.