Ottimo momento per l’euro, che si avvale in questa fase del rafforzamento dell’economia nell’Eurozona, il cui tasso di crescita quest’anno potrebbe toccare il 2%. La svolta per la moneta unica c’è stata con le elezioni in Francia, dove la vittoria di Emmanuel Macron ha allentato di molto le tensioni politiche nell’area, allontanando lo spettro di una sua rottura per la vittoria di candidati “populisti”. Il cambio euro-dollaro ha guadagnato quest’anno il 12%, mentre negli ultimi tre mesi l’euro risulta apprezzatosi mediamente del 5% contro un paniere di valute.

Dall’inizio dell’anno, ha messo a segno un +5,6% contro la sterlina, un +4,7% contro lo yen e un +6,1% contro il franco svizzero, tra gli altri. Per questo, gli analisti si attendono una taglio delle stime sull’inflazione nell’Eurozona per il triennio in corso da parte della BCE.

Al board dell’8 settembre, il governatore Mario Draghi potrebbe annunciare proiezioni in miglioramento sul fronte della crescita economica, ma in peggioramento sull’inflazione, allontanando il tasso annuo di crescita dei prezzi dal target dell’istituto di quasi il 2%. (Leggi anche: Cambio euro-dollaro, rialzo finito?)

Niente annuncio di tapering a settembre

Un euro più forte, come stanno in questi mesi toccando con mano i turisti dell’Eurozona andati all’estero, rende meno cari i beni e i servizi importati da economie esterne all’area e riduce l’inflazione. Alla prossima riunione dei banchieri centrali, quindi, Draghi potrebbe eccepire ai “falchi” del board che non sarebbe questo il momento di annunciare il “tapering”, ovvero il ritiro graduale degli stimoli monetari, altrimenti a rischio deragliamento vi sarebbe la ripresa dell’area, oltre che il target d’inflazione. (Leggi anche: Perché gli stimoli della BCE di Draghi non finiranno presto)

Gli analisti non sembrano ancora preoccupati dell’impatto del cambio sull’economia nell’Eurozona, ma avvertono che se contro il dollaro salisse nettamente sopra 1,20, vi sarebbero conseguenze negative per l’area, le cui esportazioni diverrebbero meno convenienti.

Considerando che siamo già a ridosso di tale soglia (cambio euro-dollaro stamattina poco oltre 1,18), basterebbe poco per smuovere i mercati e rafforzare la moneta unica a livelli potenzialmente dannosi per l’economia. Quel poco sarebbe, appunto, l’annuncio già a settembre di Draghi sulla riduzione progressiva degli stimoli dopo la fine dell’anno.

Pesa la divergenza monetaria attesa con la Fed

La tempistica, a dire il vero, non gioca molto in favore della BCE. Per evitare un apprezzamento ulteriore del cambio, dovrebbe rinviare l’annuncio del “tapering” ai board successivi, ma dopo settembre restano solo due appuntamenti utili allo scopo: ottobre e dicembre. Il “quantitative easing” si conclude alla fine del 2017, per cui il mese di dicembre sarebbe troppo tardi per preparare i mercati a un taglio degli stimoli. Rimane ottobre, ma che potrebbe essere un po’ presto per evitare che l’euro diventi ancora più super, dato che la Federal Reserve aumenterebbe i tassi USA solo a dicembre, con ogni probabilità.

Vero è che la mossa della banca centrale americana appare scontata, ma se alzasse i tassi prima della BCE, spingerebbe almeno temporaneamente il cambio euro-dollaro sotto pressione; viceversa, si rischia per Draghi di assistere a un rapporto superiore a 1,20, che una volta sfondato, potrebbe non scendere così facilmente. (Leggi anche: Cambio euro-dollaro a 1,20, ma perché rendimenti crollati?)

Draghi resta colomba a settembre?

Alla fine di agosto, al simposio di Jackson Hole, negli USA, il governatore italiano dovrebbe preparare i mercati a un cambio di linguaggio, ma alla luce degli eventi estivi sul fronte dei cambi, potrebbe decidere di mostrarsi meno “hawkish” delle attese. D’altra parte, il miglioramento delle condizioni economiche dell’area ha spinto gli analisti a scontare con maggiore probabilità che il “tapering” venga annunciato a settembre.

In realtà, l’unico obiettivo della BCE consiste formalmente nello stabilizzare i prezzi attorno a una crescita tendenziale di poco inferiore al 2% e l’ultimo dato di luglio ha visto il dato rimanere all’1,3%, ben al di sotto del picco del 2% toccato a febbraio e quasi replicato in aprile all’1,9%, risentendo di quotazioni del petrolio sostanzialmente immobili nei pressi dei 50 dollari.

Per questo, Draghi continuerà a mostrarsi abbastanza “colomba” ancora a settembre, confidando nella relativa tolleranze degli elettori tedeschi, che votano tra meno di un mese e mezzo per rinnovare il Bundestag, ma che non paiano volere più assegnare così importanza ai toni anti-BCE dei connazionali euro-scettici. Sarà per questo che i rendimenti sovrani nell’unione monetaria hanno smesso di salire da un mese a questa parte, con quelli decennali dei Bund a ripiegare di quasi 20 punti base allo 0,43% e di quasi 30 bp a poco sopra il 2% per i nostri BTp. I mercati non comprano una svolta monetaria così immediata. (Leggi anche: Eurozona, crescita pil accelera ancora: che farà BCE?)