Chissà la soddisfazione di Xi Jinping nel ricevere in casa il segretario di Stato degli Stati Uniti, Antony Blinken. La stretta di mano tra i due a favore delle telecamere suggella la ricerca di una tregua nella “guerra” diplomatica e commerciale che le superpotenze portano avanti ormai da anni. Solo che è stata Washington a volere la tregua. L’incontro Blinken-Xi spianerebbe la strada a una futura visita del presidente americano Joe Biden a Pechino. Il suo emissario ha rassicurato formalmente e pubblicamente il presidente cinese che gli Stati Uniti non sosterranno l’indipendenza di Taiwan.

Ha espresso, però, preoccupazione per alcuni toni usati dal governo cinese verso l’isola ribelle. Insomma, meglio di così per la Cina non potrebbe andare per ora. Il governo americano sembra avere capito l’antifona, preoccupato com’è del crescente attacco al dollaro, soprattutto in Asia.

Lo spartiacque è stata l’invasione russa dell’Ucraina. Era il 24 febbraio dello scorso anno e qualche giorno dopo l’Occidente comminava sanzioni finanziarie durissime contro Mosca. Circa il 40% delle sue riserve valutarie è da allora “congelato”, qualcosa come 300 miliardi di dollari. L’economia russa è stata espulsa dallo SWIFT, il sistema finanziario gravitante attorno al dollaro. La Cina ha alzato subito la voce per chiedere di non usare il dollaro come un’arma (“weaponization”). Da quel momento in avanti sembra che i piani per ridurre la dipendenza dalla valuta americana abbiano subito un’accelerazione quasi ovunque.

Stati Uniti perdono influenza nel mondo

Questa evoluzione sta riguardando particolarmente l’Asia. Qui, la Cina sta riuscendo a stringere numerose alleanze con partner insospettabili fino a pochi mesi fa. Tra questi troviamo la potente Arabia Saudita. In teoria, i due paesi hanno convenuto sulla possibilità di regolare gli scambi commerciali in yuan. E’ la più significativa minaccia ai “petrodollari” dell’ultimo mezzo secolo. In Africa si stanno moltiplicando le voci dei capi di stato e di governo ad invocare nuove regole per regolare commerci e transazioni finanziarie in valute locali.

L’attacco al dollaro è partito anche in Sud America e se n’è fatto portavoce il Brasile di Lula, prima economia dell’area.

Per gli Stati Uniti si tratta di uno scenario temibile nel medio-lungo termine. Zio Sam sta avendo meno influenza di un tempo per esercitare pressione su paesi alleati come l’India. Nel frattempo, i sauditi stanno giocando una partita tutta loro in questo riassetto globale. Hanno deciso di non essere più proni ai voleri di Washington, bensì di assurgere a potenza regionale con una svolta improvvisa nelle relazioni diplomatiche con stati “nemici” come l’Iran. E il via libera a questo riposizionamento è arrivato proprio il giorno stesso delle sanzioni anti-russe. In tanti si sono chiesti se non sia venuto il momento di sganciarsi dal dollaro, visto che questo non sarebbe più affidabile per gli stati all’infuori dell’orbita occidentale.

Crisi fiscale e commerciale

A guardare i tassi di cambio dell’ultimo anno, comunque, si direbbe che il dollaro sia tutt’altro che spacciato. In effetti, le problematiche non riguardano certo l’oggi. Un numero crescente di stati sta convenendo, però, sulla necessità di rivedere le regole su cui poggiano le loro relazioni commerciali e finanziarie. Indipendentemente dalla guerra russo-ucraina, si moltiplicano i fattori di tendenziale debolezza per gli Stati Uniti. Questi accumulano ogni anno spaventosi deficit commerciali con il resto del mondo, mentre il debito federale non fa che galoppare a causa di una politica fiscale lassista. Ciliegina sulla torta: le stamperie monetarie della Federal Reserve nei quasi quindici anni passati. Solo nell’ultimo anno ha alzato i tassi d’interesse a livelli reali positivi e solo per combattere un’inflazione esplosa ai massimi dagli anni Ottanta.

Attacco al dollaro e minaccia su materie prime

La Cina ha reso evidente agli Stati Uniti che possono contrapporsi allo strapotere del dollaro puntando sul loro asset principale: le materie prime. Insieme agli alleati, Pechino dispone dei fattori produttivi indispensabili per la crescita delle economie. Tra questi vi sono le terre rare. La corsa all’Intelligenza Artificiale e alla transizione energetica si fermerebbe all’istante se il blocco geopolitico avversario ne fermasse o limitasse le esportazioni. Sarebbe un duro colpo alla supremazia occidentale in campo economico, tecnologico, militare, ecc.

Agli Stati Uniti serve una tregua per riprendere fiato e, se vogliamo, per riordinare le idee. L’invasione russa è arrivata per certi versi inattesa nei tempi e ha richiesto una reazione forte e immediata, forse persino poco ponderata circa le conseguenze geopolitiche. L’attacco al dollaro è reso possibile ormai dal fatto che il peso di Cina e alleati nell’economia mondiale sia diventato preminente. Non esiste ancora una vera alternativa alla divisa americana, ma i fatti dell’ultimo anno hanno accelerato la sua ricerca in Asia e non solo. L’amministrazione Biden non si aspettava una tale reazione da parte di quelli che considerava alleati. E’ costretta a prendersi una pausa per cercare di riguadagnare l’influenza perduta all’infuori del blocco occidentale. Solo che la tregua invocata con la Cina di Xi sembra rimarcarne la debolezza agli occhi delle decine di stati terzi. E Pechino gongola.

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