C’è aria di forte tensione in Spagna sulla decisione del governo catalano di indire un referendum sulla secessione della regione dal resto del paese, giudicato incostituzionale dal premier Mariano Rajoy, che si appella alla Costituzione post-franchista, secondo cui la Spagna è “indivisibile”. L’apice dello scontro tra Madrid e Barcellona è arrivato ieri, quando il governo centrale ha inviato la Guardia Civil per sequestrare le milioni di schede elettorali pronte da stampare per la consultazione dell’1 ottobre, facendo arrestare 14 ministri dell’amministrazione della Catalogna, segnando un passo finora mai compiuto.

Schierati per impedire il referendum sono sia il centro-destra al governo nazionale con il Partito Popolare, sia il Partito Socialista all’opposizione e i centristi di Ciudadanos, il cui leader Alberto Rivera è proprio catalano. A favore del voto è solo Podemos di Pablo Iglesias, il leader della sinistra radicale, che insidia i socialisti nei consensi. (Leggi anche: Catalogna verso referendum indipendentista, un video della CUP spiega la direzione)

Immaginiamo per un attimo che davvero la Catalogna si stacchi dal resto della Spagna. Come apparirebbe l’economia di ciò che rimarrebbe della nazione iberica? Partiamo dal dato demografico: dai 46,77 milioni di abitanti, gli spagnoli scenderebbero a 39,27 milioni, dato che la Catalogna con i suoi 7,5 milioni di residenti incide per il 16% dell’intera popolazione nazionale. Il pil spagnolo, che alla fine dello scorso anno risultava salito a quasi 1.114 miliardi di euro risulterebbe ridimensionato a 890 miliardi, con il pil pro-capite nazionale ad abbassarsi dagli attuali 23.816 euro a 22.669 euro, tenendo conto che quello catalano si attesta oggi su livelli superiori di quasi un terzo rispetto al resto della Spagna con 29.817 euro.

Debito ed export senza Catalogna

E c’è la questione debito pubblico, che è quasi triplicato in rapporto al pil dal 2007, sfiorando il 100% nel 2016 e attestandosi a circa 1.107 miliardi. Se la Catalogna se ne andasse per conto suo, in valore assoluto scenderebbe di un’ottantina di miliardi (a tanto ammonta il debito locale di Barcellona), ma si dovrebbe scorporare anche la quota di debito da appioppare eventualmente alla regione indipendente, che sarebbe pari a circa 150 miliardi, se si effettuasse una semplice ripartizione pro-capite, di ben 222 miliardi, invece, se si legasse il debito alla ricchezza.

In rapporto al pil, la Spagna senza i catalani avrebbe un indebitamento pubblico sostanzialmente uguale a quello odierno (99%) nel primo caso, in calo al 90% nel secondo. Ciò, perché seppur più ricca, la Catalogna detiene oltre il 40% dell’intero debito locale spagnolo, pur rappresentando meno di un sesto della popolazione complessiva. (Leggi anche: Economia spagnola, crescita del 3% senza governo)

Quanto ai ritmi di crescita dell’economia spagnola, non subirebbero grossi contraccolpi, tranne che imprese e investitori temessero una fase di instabilità politica e non solo. Dal 2003 al 2016, il pil nominale catalano è aumentato di quasi il 43%, quello spagnolo del 39%. Come si nota, le differenze non appaiono irrilevanti, per cui i tassi di crescita del pil sarebbero quasi del tutto salvi. Diversa sarebbe, però, l’incidenza delle esportazioni sull’economia, se è vero che esse abbiano pesato lo scorso anno per oltre il 29% del pil catalano, ma per meno del 23% di quello spagnolo. Tuttavia, la bilancia commerciale risulta negativa in entrambi i casi, con un segno meno più marcato per Barcellona (-5,7%) che per Madrid (-5%). I due dati non tengono conto, tuttavia, delle relazioni commerciali tra la nuova entità statale e la Spagna. In entrambi i casi, la UE rappresenta il principale mercato di sbocco per merci e servizi esportati con una quota dei due terzi del totale. Va da sé, che senza le imprese catalane, quelle spagnole esporterebbero merci e servizi per appena il 17% del pil.

Tante incognite sull’indipendenza catalana

Anche i numeri sul mercato del lavoro cambierebbero un po’.

Dai quasi 19 milioni di occupati, la Spagna se ne ritroverebbero circa 15,7 milioni, mentre il numero dei suoi disoccupati scenderebbe dagli attuali 3,9 a poco più di 3,3 milioni di unità. A fronte di un tasso di disoccupazione nazionale del 18,7%, la Catalogna ne ha oggi uno più basso al 15,3%. E se oggi vi è così in Spagna un lavoratore ogni 2,49 abitanti (ogni 2,42 in Catalogna), senza la sua regione più ricca ne avrebbe uno ogni 2,5, segnalando un rapporto solo in lievissimo aumento.

Nonostante gli allarmi, da questi numeri non si evincerebbero sconquassi per Madrid, nel caso in cui Barcellona dicesse addio. La realtà, però, è dinamica e dipende spesso da fattori psicologici che vanno oltre le fredde cifre. Vi immaginate, ad esempio, la perdita che subirebbe la Liga spagnola, se Real Madrid e Barça giocassero in due campionati di calcio differenti? Sarebbe solo la punta di un iceberg, che rischia di provocare danni a entrambe le parti. Cosa ne sarebbe dei circa 19 milioni di turisti che l’anno scorso hanno visitato Barcellona sui 70 milioni di tutta la Spagna? Molte domande senza una risposta certa, che spingono il governo nazionale a inviare persino l’esercito per preservare l’unità del paese, ma finendo forse per alimentare il già forte risentimento catalano. (Leggi anche: Perché la crisi politica in Spagna non ha colpito)