Dal giorno del referendum sulla Brexit ad oggi, Piazza Affari ha perso l’8%, mentre il resto d’Europa è tornato ai livelli di tre mesi fa. E se l’Eurostoxx 600 mostra un timido +1% dalla fine di luglio, Milano segna ancora un -2%, a conferma che l’andamento della borsa italiana sarebbe opposto a quello imperante nel Vecchio Continente. Come mai? Di certo, sono le banche a zavorrare i nostri listini, avendo perso quest’anno quasi la metà del loro valore, quando la media europea segna un più contenuto -26%.

E’ evidente, però, che a pesare sia anche il timore di instabilità politica, che aleggia sul referendum costituzionale, che sarà celebrato tra novembre e dicembre sulle riforme istituzionali volute dal governo Renzi e al quale il premier ha legato il suo destino politico e quello dell’esecutivo da lui guidato.

Italia fuori dall’euro?

I sondaggi segnalano una prevalenza dei “no” sui “sì” con stretto margine, ma sufficiente per mettere in dubbio la sopravvivenza della maggioranza. Lo spread BTp-Bund a 10 anni è superiore ormai di una trentina di punti base rispetto a quello tra Bonos e titoli tedeschi, nonostante la Spagna sia senza un governo nel pieno dei poteri da nove mesi.

Gli analisti guardano con trepidazione alla consultazione, che in diversi si spingono a definire più fatidica del referendum sulla Brexit per la UE e, in particolare, per l’euro. Eppure, Credit Suisse ha stimato in meno dell’1% le probabilità di un’uscita dell’Italia dall’euro, nel caso vincesse il “no”.

 

 

 

I tre scenari possibili dopo il referendum

In effetti, la consequenzialità tra caduta del governo Renzi e uscita dell’Italia dall’euro appare poco chiara e tortuosa da seguire come ragionamento. Con Renzi dimissionario, esistono tre scenari possibili:

1) Il presidente Sergio Mattarella, preso atto dell’assenza di una maggioranza parlamentare alternativa e dell’indicazione del nome di un premier diverso, riassegna l’incarico allo stesso Renzi, il quale probabilmente dovrà allargare la coalizione di governo a un pezzo di centro-destra (Forza Italia?) per fare le riforme, quanto meno riscrivere la legge elettorale.

Il premier sarebbe molto indebolito e l’Europa non gli concederebbe la flessibilità fiscale richiesta (leggi anche: Renzi gioca a fare l’euro-scettico), ma l’Italia non rischierebbe uno shock immediato sui mercati finanziari;

2) Il PD, i centristi e magari pezzi di opposizione concordano un nuovo nome per Palazzo Chigi. Circolano quelli di Pier Carlo Padoan, attuale ministro dell’Economia, ma non escludiamo nemmeno Tito Boeri, presidente dell’Inps. Si darebbe vita a un governo tecnico, finalizzato a traghettare l’Italia verso le elezioni politiche del 2018, magari attuando qualche riforma strutturale, oltre quella della legge elettorale, tenendo dritta la barra dei conti pubblici;

3) Elezioni anticipate: Renzi da segretario del PD non avallerebbe probabilmente alcun nuovo governo da lui non guidato e si andrebbe al voto. Ipotizzando che gli italiani voteranno con l’Italicum, questa varrà solo per la Camera, mentre il Senato (in teoria, avrebbe dovuto essere abolito con la riforma bocciata della Costituzione) sarebbe rinnovato con il Consultellum, ovvero con una legge proporzionale con le preferenze. Attenzione, se la Consulta bocciasse dopo il referendum l’Italicum, molto probabilmente questo non prevederebbe più alcun premio di maggioranza alla coalizione o al partito vincente, per cui anche se il Movimento 5 Stelle prendesse più voti di tutti gli altri, non avrebbe alcuna maggioranza assoluta dei seggi per governare e sarebbe disinnescato il rischio di un referendum sull’euro, già formalmente non previsto dalla Costituzione.

 

 

 

Vero rischio è crisi politica prolungata

I mercati non starebbero temendo, quindi, il rischio di un’uscita dell’Italia dall’euro, bensì di instabilità politica.

In effetti, una vittoria del “no”, se non gestita adeguatamente, porterebbe dritti al caos, non essendoci al momento né una legge elettorale certa, né un’alternativa di governo credibile a Matteo Renzi.

Con il possibile spegnimento definitivo della già debole ripresa economica, una crisi politica prolungata non farebbe che aumentare i dubbi sulla permanenza dell’Italia nell’Eurozona, ma non per effetto della vittoria di una qualche formazione euro-scettica (i grillini sono persino divisi sulla moneta unica), bensì per l’impossibilità di realizzare quelle riforme necessarie per il rilancio dell’economia italiana, la quale altrimenti rischia di implodere dentro l’Area Euro.