Al nord ha vinto la “flat tax”, al sud il reddito di cittadinanza. Guardando alla mappa elettorale, tra un Settentrione quasi totalmente azzurro e un Meridione colorato praticamente solo di giallo, questo è quanto emergerebbe, collegando la cartina alle proposte dei due partiti vincitori di queste elezioni, Lega Nord e Movimento 5 Stelle. Il partito di Matteo Salvini ha puntato sull’aliquota unica sui redditi al 15%, oltre che sui classici temi di sicurezza e lotta all’immigrazione clandestina, attirando a sé quella massa delle partite IVA, che negli ultimi 25 anni aveva fatto la fortuna politica dell’alleato Silvio Berlusconi.

I pentastellati di Luigi Di Maio, invece, hanno giocato perlopiù le loro carte sulla sicurezza sociale, le tutele e, appunto, la garanzia di un reddito erogato dallo stato a tutti i disoccupati maggiorenni che fossero in grado di dimostrare di cercare attivamente lavoro. A conti fatti, 9 milioni di persone avrebbero diritto a un assegno che partirebbe dai 780 euro per un single disoccupato fino a un massimo di 1.900 euro per una famiglia con due figli minorenni ed entrambi i genitori senza lavoro.

La proposta è apparsa subito dirompente, specie in un’area del Paese, in cui la disoccupazione è storicamente altissima e i tassi di occupazione troppo bassi rispetto sia alle già poco entusiasmanti medie nazionali, sia rispetto al resto d’Europa. Un giovane su due di età compresa tra 15 e 24 anni, ad esempio, sotto Roma non lavora. In Sicilia, nemmeno una donna su tre risulta occupata, percentuali inesistenti nel resto del mondo avanzato. E’ vero, al sud esiste un’economia sommersa più elevata della media europea, che nasconde molto lavoro nero, conteggiato il quale la disoccupazione reale sarebbe più bassa e l’occupazione, specie tra le donne, maggiore. Tuttavia, si tratta di lavori precari, quasi sempre mal retribuiti, insomma nulla che possa farci guardare alle condizioni economiche meridionali con minore preoccupazione.

Pensioni minime e reddito di cittadinanza, gli italiani sono in cerca di sicurezza

Ma un sud che vota i 5 Stelle con percentuali anche bulgare in numerose province cosa segnala alla classe politica? Votare per un movimento che propone di offrire un reddito di cittadinanza a tutti coloro che non ne hanno uno significherebbe, in teoria, premiare non una piattaforma programmatica incentrata sullo sviluppo dell’economia, bensì l’assistenzialismo. Ma allora i cittadini del Meridione non vorrebbero lavorare e trascorrere le giornate al bar o una vita in vacanza, per prendere spunto dalla canzone rivelazione del Festival di Sanremo di quest’anno? L’interpretazione prevalente che sta dando la stampa da ieri sembra la seguente: i grillini hanno vinto al sud perché hanno promesso il reddito di cittadinanza ed essendoci lì molti disoccupati sono stati premiati.

Il fallimento di centro-destra e centro-sinistra al sud

Dire questo, però, appare in netta contraddizione con il sostenere che il sud si sia rivoltato contro gli schieramenti politici tradizionali, rei di averlo abbandonato al proprio destino. Si tratterebbe, in verità, di un voto assegnato per pura furbizia, ovvero per un movimento che non offrirebbe prospettive credibili di sviluppo in quelle aree, bensì solo la promessa di dare un reddito a chi non lo ha. E allora, quali giovani del sud che hanno voltato le spalle a destra e sinistra, stanchi di emigrare per lavorare? Secondo questa interpretazione, avrebbero votato semplicemente per farsi mantenere a scrocco dallo stato.

Elezioni al sud tra paura e vendetta

Per fortuna, le dinamiche elettorali sono state molto più complesse. Il centro-destra ebbe l’occasione storica di dimostrare il suo valore nel sud, avendo governato per anni in tutte le sue regioni, ad eccezione della Basilicata, unica roccaforte “rossa” del Meridione. In Sicilia, ad esempio, conquistò tutti i 61 collegi alla Camera nel 2001 e l’esito di quel voto per gli isolani fu nullo.

Nessun beneficio per i 5 milioni di abitanti, né in termini di infrastrutture, né di politiche di sviluppo. E nonostante ciò, tranne brevi eccezioni, l’isola è rimasta fedele al vento berlusconiano, pur in misura gradualmente minore, fino alle elezioni regionali del novembre scorso. Lo stesso dicasi per il centro-sinistra, che governa oggi tutte le regioni meridionali, tranne la Sicilia, con risultati evidentemente imbarazzanti. In entrambi i casi, le esperienze amministrative si sono caratterizzate per politici senza spessore, spesso macchiette al limite del ridicolo e, in non pochi casi, disonesti fino al midollo, come segnalano le cronache giudiziarie.

Il sud volta le spalle all’assistenzialismo classico e poco credibile

Quanto credibili sono stati Forza Italia e PD nel presentarsi per l’ennesima volta al sud con un bilancio disastroso alle spalle, promettendo sviluppo, infrastrutture, improbabili miracoli economici, quando ad oggi hanno attinto da quell’area solo come bottino elettorale, salvo girargli le spalle il giorno dopo il voto? Pensiamo per caso che un voto per il centro-destra o il centro-sinistra abbia avuto motivazioni in sé differenti e più “nobili” di quelle che starebbero dietro alla presunta ambizione assistenzialistica del consenso in favore dei grillini? La tragedia di queste elezioni al sud, se vogliamo essere onesti con noi stessi, consiste nel notare come la sfida fosse tra ricette assistenziali classiche e ricette assistenziali 2.0, queste ultime ben propinate dall’M5S.

Destra e sinistra promettono a ogni ciclo elettorale più spesa pubblica, più assunzioni statali e negli enti locali, stabilizzazione dei precari della Pubblica Amministrazione per rispondere alla richiesta di lavoro dei cittadini meridionali, mentre stavolta la totale sfiducia verso la classe politica tradizionale è finita per premiare quanti abbiano almeno avuto il coraggio di offrire una prospettiva meno ipocrita, ossia un sostegno diretto a chi ha bisogno. In pochi realisticamente, mettendo una croce sul simbolo pentastellato, avranno creduto realisticamente che dal prossimo mese riceveranno a casa un assegno minimo di 780 euro, se i grillini andranno al governo.

Ma se l’alternativa erano un centro-destra e un PD auto-screditatisi in decenni di malgoverno provati e tutt’ora in corso, tanto valeva provare. Non è stato forse un voto di speranza, ma di rassegnazione. Possiamo solo confidare che la batosta senza precedenti alla classe politica preesistente e la maggiore concorrenza elettorale esplosa al sud portino le altre due coalizioni ad amministrare con maggiore sapienza regioni, province e comuni e a offrire risposte immediate e al contempo strutturali a un Meridione, di cui si parla dall’Unità d’Italia ad oggi come un cancro per l’economia nazionale, ma di cui non si affrontano mai i problemi, preferendo ripiegare sull’assistenza e le battute da bar.

Elezioni, rivolta del sud alle urne

[email protected]